SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA

12 maggio 2020 

(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? 
Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).

 
Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
 Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
Preghiamo
O Padre, che nella risurrezione del tuo Figlio
ci hai aperto il passaggio alla vita eterna,
rafforza in noi la fede e la speranza,
perché non dubitiamo mai di raggiungere quei beni
che tu ci hai rivelato e promesso.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Sal 144
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. R.
Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni. R.
Canti la mia bocca la lode del Signore
e benedica ogni vivente il suo santo nome,
in eterno e sempre.

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Dal Vangelo secondo Giovanni (14,27-31a)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».

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Tribolazione e pace
“Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace”.
Sono le parole che fanno da inclusione alla ricchezza della Parola di Dio dispensata per noi in questa Divina Liturgia: tribolazione e pace.
L’adesione al Vangelo e alla persona di Cristo non è mai indolore. L’appartenenza a lui è sempre confrontata con situazioni che la minano alla base. Per questo l’essere credente non è uno status che si conserva a prescindere: esso è sempre di nuovo da decidere anche a prezzo della propria esistenza come può testimoniare lo stesso Paolo che proprio poco prima aveva conosciuto persino la lapidazione.
La tribolazione è anzitutto qualcosa che ha a che fare con il nostro cuore: la nascita dell’uomo nuovo pensato secondo Dio – mai avvenuta una volta per tutte – passa sempre attraverso la morte di tanti aspetti che, se lasciati a se stessi, rischiano di soffocare sul nascere la vita nuova. Dentro di noi, anzitutto, c’è qualcosa che mette a dura prova la saldezza della fede. Si tratta di qualcosa che attinge a tutto il mondo delle nostre passioni e dei nostri stati d’animo, fatto di risentimento, rancore, inimicizia, pigrizia.
E, tuttavia, così come è accaduto al Signore e a tutti coloro che lo hanno seguito fino in fondo, c’è anche una opposizione esteriore. Lo aveva detto anche Gesù proprio alla vigilia della sua passione: “voi avrete tribolazione nel mondo”. Scegliere lo stile di vita del Signore Gesù espone sempre al confronto. Gesù identifica questo confronto già in quelli di casa propria. Per questo è necessario esserne consapevoli. A chi intendesse il cristianesimo come un itinerario verso magnifiche sorti e progressive, Gesù ripete che ha imboccato una strada sbagliata.
Che cos’è la tribolazione? È una vera e propria spina dolorosa materiale o metaforica. La spina più grande, ossia la costante tentazione della fede è il divinizzare ciò che non è Dio.
La fede non è mai un dato ovvio: perseverare in una vita conforme al vangelo non è mai à la page. Le sofferenze non riguardano soltanto le persecuzioni evidenti; esse hanno a che fare con tutte le inevitabili prove della vita quotidiana. Ci sono momenti in cui le difficoltà della vita, di salute, le incomprensioni familiari, la consapevolezza del proprio limite, sembrano toglierci il respiro, ci scoraggiano fino a farci credere impossibile un reale cammino di fede.
Così doveva essere il clima quella sera nel cenacolo allorquando i discepoli intuirono che il cammino del Maestro si avviava verso un tragico fallimento. Proprio in un contesto di angoscia Gesù consegna delle parole tanto meravigliose quanto difficili da comprendere: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Di quale pace si tratta? Non di quella cui siamo soliti pensare. Non si tratta, infatti, di una pace che si identifica con la serenità di una vita senza problemi. Non è la pace come assenza di conflitti o di problemi. Non coincide con la calma o la quiete delle circostanze, ma con la consapevolezza che la mia vita sta a cuore a Dio più di quanto non lo stia a me. È la pace che non risparmia le tenebre del venerdì santo ma le attraversa nella certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù.
Lo sappiamo per esperienza personale: ci sentiamo in pace e siamo sereni allorquando sappiamo di essere legati a qualcuno agli occhi del quale valiamo almeno quanto la sua stessa vita. Questo ci rende capaci di affrontare ogni cosa.
Paradossalmente, proprio la tribolazione diventa la porta della pace perché purifica le nostre attese. Le tribolazioni si attraversano tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede.
La pace che il Signore ci dona ha niente a che vedere con il compromesso o con i nostri trattati. Essa è sempre una pace pasquale, nasce cioè dalla croce, accetta di attraversare le tribolazioni spingendo ogni cosa oltre. Forse, quando ristagniamo nei nostri porti, è perché la nostra fede non si è ancora misurata con il momento della prova che è sempre un momento di verità per saggiare ciò che davvero portiamo nel cuore.
“Il Padre è più grande di me”: trovo un grande respiro in queste parole. Se Gesù è stato grande per quello che ha compiuto e per gli insegnamenti che ci ha trasmesso, quanto più il Padre! E i discepoli di Gesù con che cosa si misurano? È ben diversa la piccineria dalla piccolezza evangelica. È ben diversa la larghezza di Dio rispetto alle nostre forme di ripiegamento e di chiusura.
(don Antonio Savone)

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Riflessione mariana

12 Maggio

Lo stile educativo di Maria
Chi è Maria? “Maria, donna esemplare, porge alla Chiesa lo specchio in cui essa è invitata a riconoscere la propria identità, gli affetti del cuore, gli atteggiamenti e i gesti che Dio attende da lei” (Educare alla vita buona del vangelo, n. 56).
Oggi vogliamo sostare dinanzi a questo specchio per apprendere, anzitutto, qualcosa del volto del Dio che a lei si rivela. Com’è e chi è il Dio che bussa alla casa di Maria? È un Dio che va oltre ogni umana aspettativa: non comunica il suo messaggio dall’alto della sua natura divina con gesti soprannaturali ma sceglie di assumere e fare suo tutto l’umano. Già questo è per noi motivo per riconsiderare tanti nostri atteggiamenti quando siamo tentati di estraniare se non addirittura cancellare tanti aspetti della nostra umanità. No: attraverso Maria Dio fa suo tutto l’umano. Viene concepito nel grembo di una madre, cresce ed è educato in una famiglia, sente e prova ciò che sente ciascuno (il dolore, la gioia, la fame, la stanchezza, la solitudine, la tentazione, persino la paura, è vittima del sopruso, subisce il tradimento, la condanna ingiusta, la passione e la stessa morte dell’uomo). Tutto l’umano.
Il Dio che bussa alla casa di Maria è il Dio il cui amore non ha metro, dal momento che un cuore che ama non misura i suoi sentimenti; non ha bilancia, dal momento che non pesa gesti e parole e tantomeno li fa pesare; non ha orologio, dal momento che non conosce tregua e non vive part-time.
Sostando dinanzi allo specchio che è Maria, apprendiamo i gesti che Dio attende da noi se è vero che è alla sua scuola materna che Dio ha affidato lo stesso suo Figlio.
Che cosa ha imparato il Figlio di Dio alla sua scuola? Forse dimentichiamo troppo spesso che Gesù è rimasto a quella scuola per ben tre decenni, dedicando solo gli ultimi mesi della sua esistenza terrena all’annuncio del vangelo. Davvero strano questo sbilanciamento.
Alla scuola di Maria ha appreso l’arte di incontrarsi concretamente con i poveri, con gli ammalati, con i lebbrosi, con chi portava sulla sua pelle il segno di una esclusione.
Da lei ha appreso il modo in cui ci si avvicina a chi ha bisogno di aiuto; dalle sue materne abitudine ha imparato l’arte del servire. Se il vangelo può annotare che egli cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini lo si deve al modo di essere e di operare a livello educativo di sua madre.
Da lei ha pure appreso la capacità di ritrovarsi in un clima di fraternità e di amicizia. E se, abbastanza frequentemente amerà ritrovarsi in solitudine e in preghiera e comunque a custodire con assiduità il dialogo con il Padre suo che talvolta conoscerà tanto gli accenti della gioia e della gratitudine come quelli della fatica e della lotta, da chi lo avrà appreso se non da lei?
Questo doveva essere lo stile educativo della casa di Nazaret: un luogo che mentre privilegia l’ascolto assiduo della Parola di Dio non cessa di prestare ascolto alle parole dell’uomo. In un clima come il nostro in cui l’emergenza educativa – sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista religioso – è una vera e propria sfida, abbiamo bisogno di guardare al modello di Nazaret, dove il Figlio di Dio fa sua la ferialità, la compagnia di vita e di linguaggio, di sentimenti e di esperienze. Proprio ieri, ero fuori parrocchia per le confessioni. Una mamma mi consegnava come suo peccato la facilità di arrabbiarsi e di non sapersi più controllare nel linguaggio verso i figli piccoli usando verso di loro addirittura parole di maledizione. Mi sono permesso di dirle: “Si rende conto di quale danno questo può fare nel cuore e nella mente di un bambino?”. La casa di Maria è uno dei luoghi da frequentare con più assiduità per fare nostro il suo modo di essere e il suo stile di vita.
Se il Signore nell’ultimo periodo della sua vita ha potuto insegnare con autorità usando parole che salvano e non già parole da cui salvarsi (come talvolta possono essere le nostre), è perché ha accettato di stare lungamente alla scuola del fare.
Se è vero che Dio per raggiungerci ha fatto sua la via dell’umano, è altrettanto vero che per andare a lui è necessario umanizzare tutto il nostro vivere quotidiano. La sua incarnazione è ciò che esige la nostra incarnazione: non basta essere generati alla luce. È necessario scegliere lo stile attraverso cui esprimere il nostro essere uomini e donne. Sta a noi scegliere se entrare o meno nel gioco dell’amore che non conosce sconti né riserve né remore né parentesi.
A Dio si va con la nostra disponibilità a mettere in discussione il nostro stile di vita. L’amabilità del carattere, la delicatezza dei tratti, la capacità di rispetto verso tutti, la disponibilità all’accoglienza, il valore dato ai gesti di fraternità e di amicizia, la sincerità nelle relazioni, il linguaggio educato, la consapevolezza dei propri limiti, la capacità di guardare con speranza, una certa capacità di equilibrio, uno stile sobrio, il senso del proprio dovere, sono tutti aspetti che esprimono quanto, poco alla volta, ci stiamo lasciando toccare da ciò che lo Spirito Santo compie in noi mentre di giorno in giorno va plasmando, non senza il nostro personale apporto, l’immagine dell’uomo nuovo.
Perché state a guardare il cielo? Non è il caso di cercare o attendere segni straordinari. Occorre guardare la terra. È l’attenzione all’umano che decide il nostro futuro.  È la fedeltà alla “via comune” (come ripeteva santa Teresa di Gesù Bambino) che apre la via al cielo.
Sì, agli 11 Gesù riaffida la terra, la storia umana con tutte le sue complessità, con le sue tensioni. Ci è riconsegnato l’uomo, unica via per avere accesso al regno. L’uomo, ogni uomo, è il sacramento di Dio in mezzo a noi. Non c’è bisogno di altre mediazioni. L’uomo, anche qualora nulla di lui ne dovesse attestare la dignità e la plausibilità dell’avvicinarsi a lui. L’uomo, la misura laica della fede.
Comprendiamo così come non possiamo ridurre i sacramenti a un ritmo settenario. Ogni cosa, ogni persona porta con sé una sua sacramentalità, è segno del venire di Dio in mezzo a noi. D’ora in avanti egli è presente in ognuno di noi.
(don Antonio Savone)

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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.

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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.