Rosetta carissima,

avevi ragione. Avevi confidato a me e alla mamma che alla tua morte non sarebbe rimasto il cattivo odore ma solo un profumo. E il riferimento non era certo al tuo corpo che inevitabilmente subirà la corruzione. Il profumo cui facevi riferimento era ben altro: il profumo del tuo nome, Rosetta, il profumo del tuo ricordo. Quanta gente ha voluto sfilare davanti al tuo corpo esanime per attestare proprio che qualcosa di questo tuo profumo ha toccato l’esistenza di tanti. Persino l’Arcivescovo di Potenza e l’Abate di Perugia han voluto salutarti ieri pomeriggio insieme a tanti sacerdoti per dire che tu sei stata in mezzo a noi il profumo di Cristo. Chi ti ha accostato in vita ha sentito un sapore di cose altre, il sapore del vangelo. Già. Perché tu sei stata la testimonianza vivente che è possibile vivere il Vangelo ed è possibile morire per il Vangelo. Ti era ben chiaro che “se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore”. Persino il tuo viso sfigurato dall’atroce sofferenza di venti mesi di Calvario ha trasmesso la luce che sempre da te rifulgeva. Il sorriso che abbiamo scorto sul tuo volto non ti ha abbandonato neanche nella morte.

Te ne sei andata come se ne sono andati i nostri padri nella fede, come un patriarca. Con consapevolezza. Hai compiuto gesti che sono un vero testamento.

Hai continuato a baciarmi le mani venerdì pomeriggio per dirmi grazie del servizio svolto come tuo badante personale in queste ultime tre settimane. Il tuo cruccio era: come faremo io e la mamma adesso che te ne andrai? Eri orgogliosa come non mai di questo tuo fratello sacerdote. Come dimenticare i tuoi occhi al cui cenno ero pronto a intervenire?

Hai consegnato al carissimo amico il dott. Di Matteo uno dei tuoi rosari a cui eri legata perché era un mio dono per te. E glielo hai dato baciandone la croce.

Hai continuato a cercare il volto di colei che in questi venti mesi è stata il tuo angelo custode notte e giorno, la mamma. Ti ha servito con premurosa cura e dignità esemplare notte e giorno senza mai sbandierare quello che faceva per te e quello che soffriva con te. È davanti a lei e a me che ieri mattina hai esalato il tuo ultimo respiro.

Poi hai fatto eucaristia, proprio come il tuo Signore. Ti sei addormentata dicendo: “Grazie di tutto a tutti”.

E poi i due baci: uno al dottore e uno a tutti noi presenti.

Appena prima di addormentarti con la poca voce di cui disponevi hai attestato a me e a don Michele: “il Signore mi darà la forza di andare fino in fondo”. E poi hai richiamato le parole di S. Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte”, parole che hai ripetuto a me più volte in queste settimane.

La tua esistenza come la tua morte è stata una pagina di vangelo che noi oggi vorremmo riascoltare con attenzione convinti come siamo che tu sei stata una Parola che Dio stesso ha pronunciato per la tua famiglia come per i tuoi amici. Potessimo, vorremmo volentieri carpire il segreto che ha animato i tuoi 54 anni vita. Come Eliseo con il profeta Elia mentre veniva rapito in cielo vorremmo strappare un lembo del tuo mantello per far sì che resti in noi qualcosa del tuo spirito.

In questi venti mesi di malattia abbiamo pregato, supplicato, invocato il miracolo: si è pregato per te dovunque. Ma il miracolo non è accaduto: o meglio, non è accaduto il miracolo che noi ci attendevamo, quello di vederti finalmente liberata dal male che ti ha divorata inesorabilmente. Quante volte ci siamo ritrovati a dire: ma perché proprio a lei? Perché questo accanimento nei suoi confronti? Se non altro per riguardo alla tua fede il Signore avrebbe dovuto risparmiarti. Ci fa dire questo il nostro pensare tutto umano, solo umano.

Ma tu che il Vangelo lo avevi impresso nel cuore sapevi che “Questa malattia non è per la morte…”.

Il miracolo, infatti, c’è stato. Eccome! Sei stata tu il miracolo per noi, è stata la tua fede il miracolo più grande, il tuo aver messo in conto che anche in questo modo tu avresti comunque voluto restare fedele e servire il Signore senza mai imprecare. Facevi appello alle parole di Giobbe: se da Dio accettiamo il bene perché non dovremmo accettare il male? “Che cristiani saremmo se ci tirassimo indietro proprio ora?” Così mi confidavi. E ascoltandoti mi sembrava di riascoltare le parole del martire san Policarpo: “non posso tirarmi indietro proprio ora perché Lui non mi ha mai tradito”.

Proprio qualche giorno fa nella hall del reparto di oncologia mi hai citato il brano delle lodi mattutine: Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli (Gdt 8,26). E poi commentavi: “la fede è una cosa seria, non si può servire il Signore solo quando ci conviene”. Volevi essere trovata fedele.

Lo scorso anno, il giorno del mio onomastico, al telefono mi confidavi ancora: “ricordi quella frase del Vangelo in cui il Signore chiede: quando il Figlio dell’uomo verrà troverà ancora fede sulla terra?” E poi aggiungevi: “io gli avrei risposto di sì; ci sono tante persone che non hanno mai smesso di avere fede”. Tu fra queste.

“Sfurtunata bella iedda” (sfortunata, povera lei): quante volte più di qualcuno ti ha compianto con queste parole. A rileggere la tua esistenza secondo la categoria della fortuna certo è da concludere che la sorte non ti ha arriso: appena andata sposa – avevi 18 anni – ti sei fatta carico della grave malattia di tua suocera. A soli 39 anni ti sei ritrovata improvvisamente vedova perché la morte ti rubava nel sonno il tuo sposo e tu venivi chiamata a rimboccarti le maniche in cose che fino ad allora aveva amministrato tuo marito. Poi come se non bastasse alla violenza della morte che ti aveva portato via il compagno di vita si aggiungeva quella non meno nefasta del veder ripagare il bene con il male da parte di chi avevi servito per anni proprio in casa tua. Proprio sfortunata, verrebbe da concludere.

Ma non è questa la prospettiva da cui va riletta la tua storia. La tua storia ha un senso solo a partire dalla fede: per fede, proprio come narra la lettera agli Ebrei. Come se vedessi l’invisibile… Sei stata così: come se vedessi l’invisibile. Una luce ha attraversato i tuoi occhi anche nel buio più tenebroso.

Come non ricordare a questo proposito ciò che tu avesti modo di esprimere il giorno in cui Cleto morì, mentre io andavo pensando cosa poter dire nell’omelia per i suoi funerali? All’improvviso, guardando la croce posta dietro la bara, tu dicesti: “Signore, so di poter vivere questo momento perché tu lo hai vissuto prima di me e ora lo vivi con me”. La fede ti ha sempre sostenuta consentendoti di attraversare le notti più buie che non ti sono state risparmiate. “Non sanno cosa si perdono – dicevi – quelli che non hanno la fede”. Di lì a poco quando l’ingiustizia faceva capolino sulla tua vita tu hai scelto di non ripagare il male con il male. Ti eri privata persino della possibilità di accostarti alla comunione sapendo che c’era qualcuno che ti aveva fatto del male col quale tu non ti sentivi perfettamente riconciliata. La serietà della tua fede…

Ma insieme alla fede l’altra grande categoria da cui va riletta la tua esistenza è la capacità di voler bene. Fino alla fine l’altro è venuto sempre prima di te. Il segno di questo la tua casa sempre aperta e una tavola sempre pronta ad imbandirsi di ogni specie di cose. Prendendoti in giro ti chiamavamo sant’abbondanza perché non c’era misura nel tuo darti. Certo aiutata da un carattere umile, disponibile, ma senz’altro plasmata dallo stile del Signore Gesù che passò beneficando tutti. Sì, anche tu hai fatto del bene a tutti, nessuno escluso. Solo ieri l’altro ricordando insieme il male che ti è stato inferto hai ripetuto le parole del tuo Signore: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Hai celebrato fino in fondo il sacramento dell’amicizia, anche quando non sei stata capita.

Poi ancora la tua preghiera. Sempre fedele alla liturgia delle Ore e al Santo Rosario, in questi mesi la tua grande compagnia era Telepadrepio. Ogni tanto ti si vedeva appartare per poter guadagnare un angolo di silenzio e seguire la liturgia proposta in tv. So – me lo hai detto tu – che quando la mamma ti lasciava per un attimo e tu ancora riuscivi a salire in camera mia, quella era una tua postazione preferita perché dalla mia finestra si vedono due luoghi a te cari: la chiesa e il cimitero. Era un tuo segreto: ci sei andata anche il giorno prima di essere ricoverata per l’intervento. La preghiera ti ha sostenuta nei momenti di sconforto che pure hai conosciuto. Ricordo bene le tue lacrime la mattina dell’intervento quando ero entrato per darti la benedizione. Tuo conforto era sapere che qualcuno pregava per te, non già per chiedere il miracolo quanto piuttosto per avere la forza di entrare nella Pasqua che ora si è compiuta.

E poi il tuo amore alla Chiesa: hai amato la comunità cristiana servendola in prima persona come catechista e come incaricata del canto. Sapevi cantare molto bene, vizio di famiglia! Hai amato i sacerdoti: in ognuno di essi rivedevi il tuo fratello che vive lontano e li hai serviti e accolti come hai sempre fatto con me.

Nessuno di noi ha mai sentito uscire un lamento dalla tua bocca: sempre parole di bene. “Sto bene, ringraziando il Signore. Il Signore è grande e sa fa quello che fa”, ripetevi. Queste tue parole facevano pensare a chi ti visitava per qualche istante che davvero tu stessi bene tanto che non sempre si è avuta attenzione per la tua sofferenza: fino alla fine gli altri prima di te. Mentre tu sola e chi davvero ti conosceva sapeva ciò che stavi vivendo in quel percorso di conformazione al Signore Gesù che si è compiuto ieri mattina alle 6.30, di sabato, il giorno di Maria che tu hai amato di affetto filiale, associata come lei alla passione che hai accolto mai con rassegnazione ma sempre con abbandono fiducioso. I giorni per noi credenti non sono solo una cronaca e non sono tutti uguali: portano con sé un seme di qualcos’altro. Ci hai lasciato di sabato e ora siamo qui a darti l’ultimo saluto nel giorno del Signore, nella festa del nome di Maria. A Maria avevi chiesto di pregare per te – i miei occhi ti hanno visto ripetere prima di addormentarti – : adesso e nell’ora della nostra morte.

Eri certa del premio celeste. Hai ancora detto a me e alla mamma: “Andrò in paradiso… se non ci vado io, chi?”. Non era superbia la tua: era l’intima consapevolezza che il Signore ha fatto crescere dentro di te in questi mesi in cui hai attestato di essere discepola del Signore fino in fondo, senza tirarti indietro.

Ciao Rosetta carissima, silenziosa operaia del Vangelo.

Amen.

Antonio, tuo badante personale