Il seminatore uscì a seminare… Così, un giorno, Gesù aveva raccontato del mistero dell’incarnazione, come dell’uscire di Dio che, fiduciosamente, ha sparso il buon seme della sua parola nei terreni i più impensabili. Lo aveva fatto animato da grande speranza e fiducia.
Ora, mentre sta per far ritorno al Padre, non viene meno a questo suo stile e, perciò, affida il compito a chi aveva condiviso con lui la stessa passione per le cose di Dio, per il suo regno. Gli affida il Vangelo, il compimento del quale è proprio la possibilità di raggiungere il cielo in modo permanente.
Stupisce non poco che Gesù non venga meno a un atteggiamento di fiducia verso i discepoli. Avrebbe avuto tutti i motivi per non farlo (gli eventi appena trascorsi ne davano conferma abbondante), ma proprio dopo averli rimproverati per la loro fatica a credere (cfr. Mc 16,14), Gesù li abilita a diventare portatori a ogni creatura di quella esperienza di luce e di grazia che aveva cambiato la loro esistenza. Non solo: essi sarebbero stati il prolungamento della sua presenza. Quello che avrebbero detto e quello che avrebbero compiuto, era chiamato ad esprimere ciò che avrebbe detto e compiuto lo stesso Signore Gesù.
Noi, il prolungamento della stessa opera di Gesù. Quale fiducia! Quale responsabilità! Se solo provassimo a gustare di più la certezza che Dio ha fiducia in noi, forse anche questa stagione che porta tutti i tratti di una via senza sbocco, la attraverseremmo con la consapevolezza serena che qui c’è in gioco anche dell’altro. C’è in gioco la certezza di un Signore che opera insieme con noi. Per questo i credenti pur registrando come tutti la contraddittorietà delle situazioni non indulgono mai ad un atteggiamento rassegnato: c’è un vangelo anche per le contraddizioni del vivere umano.
Certo, siamo sufficientemente adulti per misurare che, se il compito affidatoci dal Signore Gesù è di una certa portata, impari è la misura della nostra fragile fede e, perciò, volentieri indulgeremmo verso la rassegnazione e il ripiegamento. Tuttavia, quel giorno, proprio mentre fisicamente si allontanava da loro, Gesù prometteva ai discepoli: Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono. La trovo una sottolineatura non da poco. Abbiamo sempre pensato che i segni cui Gesù fa riferimento siano attinenti a quelli che annunciano, quasi che l’essere abilitati all’annuncio porti con sé quelle conferme. E invece no. Quei segni accompagnano chi crede.
Chi crede è in grado di scacciare demoni non già per un esorcismo, anzitutto, quanto per la capacità di riconoscere ciò che impedisce all’uomo di essere se stesso. Scacciare i demoni significa non prostrarsi dinanzi ad alcun idolo, sia esso il potere, il denaro, la smania di protagonismo o il possesso delle persone. Scacciare i demoni vuol dire riconoscere e stanare tutto ciò che disgrega, divide, separa.
Chi crede è capace di un linguaggio nuovo, il linguaggio di chi tiene fede alla parola data senza mai ricorrere alla menzogna. Il linguaggio nuovo è quello di chi, pur riconoscendo la crudezza di tante situazioni, non smette di indicare l’oltre di quelle situazioni, non perde mai il senso di quello che sta vivendo. Chi crede è capace di tessere una rete di relazioni e di comunione che va oltre la differenza dei linguaggi umani. Il linguaggio nuovo è quello della mitezza e dell’umiltà senza mai ripiegare verso l’istintività o l’aggressività.
Chi crede può prendere in mano serpenti e, per aver riposto la sua fiducia in Dio, la sua preoccupazione è quella soltanto di compiere il bene pur in situazioni che dovessero contestarlo. Il veleno della cattiveria o quello derivante da altri pericoli non intaccherà la sua fiducia in Dio. Chi crede, sempre vince il male con il bene senza far mai ricorso ad altri mezzi.
Chi crede è preoccupato che chiunque possa essere sollevato nel suo soffrire, proprio come Gesù che “passò sanando e beneficando tutti”. Imparare a partecipare al dolore degli altri provando a uscire dai nostri egoismi.
Chi crede, sa che in un mondo di serpenti e veleni nuovi demoni, è chiamato a ridare speranza, a non smettere di esprimere segni della propria presenza continuata in mezzo agli uomini. È questo stare nella compagnia degli uomini che dirà se siamo degni di stare nella compagnia di Dio.
Chi crede, sa di poter andare dappertutto, fino ai confini del pensabile, ponendo segni che raccontano la grande lotta che è sempre di nuovo da ingaggiare contro il male dell’indifferenza.

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Dal Vangelo secondo Marco 16,15-20

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.