Sr. Bruna carissima,

ho bisogno di affidare a questo scritto quello che sto vivendo in queste ore mentre gli impegni pastorali mi trattengono con la mia comunità per i le Quarantore e il cuore e la testa, invece, sono altrove, a circa 1000 km di distanza. So che la mia assenza si nota, ma tu sai: in questo momento è il sacrificio più costoso quello di non potersi ritirare in disparte ed elaborare il proprio lutto. Mi pesa non poco non poter partecipare oggi alla liturgia esequiale ma sono certo che questo sacrificio sia anche quello più fecondo a vantaggio di quella causa per cui io e te abbiamo dato la vita.

Non riesco a pensare che tu non sia più fisicamente in mezzo a noi, sembra quasi impossibile. Certo, sapevo che questo momento doveva arrivare prima o poi, ma di fatto, in questi anni, avevo come maturato la convinzione che tu fossi inaffondabile: la grinta e la tenacia che tu mettevi in ogni situazione, mi restituivano la certezza che avresti tardato il più possibile questo appuntamento: ancora qualche settimana fa mi avevi confidato che saresti tornata a trovarmi. Al vederti, nessuno poteva immaginare quello che soffrivi: affrontavi il male andando a fare la chemio con la tua bici, compagna inseparabile, e quando rientravi a casa non ti risparmiavi continuando il tuo lavoro con bambini e mamme. Ci vorrà tempo per maturare la consapevolezza che d’ora in avanti sarai presente nella mia vita in modo diverso.

Era il 2009 quando ho avuto la grazia di conoscerti nella Parrocchia a me affidata in quel di Pietra L. Tra noi fu subito intesa, quella propria di chi ha a cuore due cose: il vangelo e l’uomo. E poi, nulla ci fermava, testardi com’eravamo! Tu eri diventata la più attenta ascoltatrice e divulgatrice dei miei commenti al vangelo e io avevo iniziato a frequentare la tua casa per godere e apprendere l’arte di chi si fa carico dei più bisognosi, i piccoli e le mamme che avevano conosciuto sulla loro pelle l’amaro calice della violenza o dell’abbandono. Avevi dato origine all’Associazione “Farsi casa” e tu ne incarnavi l’essenza attraverso l’ascolto e l’accoglienza di chiunque bussasse al cancello di Via Soccorso 1. Quell’indirizzo era già tutto un programma: il Signore aveva fatto di quel luogo il pronto soccorso per tanti, me compreso. Quando qualcosa non andava, la tua casa era un rifugio sicuro. Da te si trovava non solo il necessario ma l’abbondanza. Nulla era lasciato al caso, tutto era particolarmente curato.

“Farsi casa” non era per te una dicitura: era un concreto restringerti perché l’altro si sentisse riconosciuto e accolto.

Avevi chiesto al Signore il dono di un fratello che ti aiutasse ad attraversare i giorni della prova legati al male che da mesi si accaniva contro di te. Arrivai io. Il mio arrivo aveva portato conferma all’opera che guidavi già da diversi anni, ma la mia venuta aveva allargato ancor più il tuo spazio di azione perché sposavi tutto ciò che il Signore mi ispirava mettendoti in gioco in prima persona senza farmi mai mancare il tuo apporto e la tua presenza anche a costo di notevoli sacrifici. I miei progetti erano diventati i tuoi e i miei amici i tuoi amici. Quando c’era qualcosa da realizzare, le notti erano il tempo per lo straordinario.

La tua presenza è stata determinante circa la scelta che ora mi trovo a portare avanti: mi hai sostenuto fino in fondo, dispiacendoti quando qualcuno non riusciva a capirmi. Tu eri convinta che io avessi un carisma particolare nel parlare al cuore e nel far parlare il vangelo con le parole che ciascuno vorrebbe sentirsi ripetere: ricordo come ora il tuo rammarico quando qualcuno mostrava resistenze verso di me. Ne soffrivi perché, a tuo dire, perdevano un’occasione per mettersi in gioco.

Tanto di quello che io sono e porto avanti lo si deve a te: attraverso di te il Signore mi ha fatto comprendere tante cose. Se non ti avessi incontrato, nulla sarebbe lo stesso. C’è una comunione profonda, spesso silenziosa ma reale fra tante persone che come me, come te, cercano il Signore e cercano l’uomo, e credono che non li si possa trovare separatamente. Attraverso di te ho appreso che ciò che conta è la fedeltà al Signore: il come e il dove è secondario ed è lui a farcelo comprendere nei modi che più gli sono consoni.

Salutavi sempre con molto affetto il mio stare tra te e gli ospiti della casa perché sostenevi che attraverso di me i bambini e le ragazze si confrontavano finalmente con una figura maschile che restituiva loro dignità e bellezza. Ripenso a quando si andava a prendere il gelato con tutti gli ospiti in quel di Calice, la pizza a Finale: era sempre una festa. “P. Antonio, quando ci porti fuori di nuovo?”, mi chiedevate. Ripenso a quando sorridevi compiaciuta perché io e la piccola Vale ti osservavamo mentre a pranzo riuscivi sempre a macchiarti (“P. Antonio, vedi anche tu quello che vedo io?”, mi chiedeva la piccola Vale e tu ridevi).

Così, dopo il tempo al Soccorso, mi hai seguito a Ranzi: che bello vederti arrivare la domenica con bambini e mamme per partecipare all’Eucaristia e poi condividere il pranzo a casa mia. Quel pranzo era una delle cose a cui più tenevi. Ripenso al nostro restituire dignità e decoro alla chiesa: rivedo spesso le foto in cui sei intenta a preparare l’altare della reposizione o mentre prepari il pranzo per tutti gli amici dell’infiorata.

E poi, quando ero padre spirituale in Seminario, il tuo farti carico anche di quest’altra partita: i seminaristi sapevano di poter ricorrere a te per qualunque necessità.

Il Signore ti aveva fatto dono di tantissime capacità: ricamavi e cucivi che era un incanto; cucinavi divinamente (eppure ti piaceva di più il ragù fatto da me!); organizzavi un incontro di catechesi che risultava sempre affascinante. Qualunque cosa toccassi diventava oro. Non c’era cosa che non sapessi fare.

Quando poi sono approdato a Tramutola, mi hai raggiunto anche qui, entusiasmandoti per il calore che hai trovato tra la mia gente. Te lo confesso: se non fossi stato consapevole del male che ti logorava e dell’assistenza che ricevevi a Pietra da parte di amici e volontari, non avrei esitato a chiederti di trasferirti qui per continuare questa splendida collaborazione.

Avevi un segreto e io ne ero il custode. Era una frase del Salmo 62,4: “La tua grazia vale più della vita”. La tua passione più grande, il tuo desiderio più vivo era quello di non perdere mai il tuo legame con il Signore di cui avevi conosciuto la misericordia e la fedeltà. Il resto non contava: per questo amavi restare nel nascondimento e tessere nel quotidiano una trama di speranza per quanti in qualche modo incrociavano i tuoi passi. Poi dovevi scomparire: mi aveva sempre colpito il fatto che tu non legassi a te le persone a cui avevi fatto del bene. Tuo compito era quello di creare opportunità perché ognuno iniziasse a camminare senza dover dipendere da te.

So che non è stato facile mettere in conto il fatto che io potessi lasciare la Liguria: credo sia stato uno dei sacrifici più grandi e lo hai vissuto con spirito di abbandono e di fiducia, lo stesso che hai vissuto in queste settimane in cui sei rimasta a letto in attesa dell’incontro con il Signore. Lo hai incontrato dopo averLo ricevuto nell’Eucaristia. Sono certo che hai preparato questo appuntamento come eri solita preparare ogni cosa: con cura e dando tutta te stessa. Mariana mi ha confidato che hai sei stata tu stessa ad avvisare le pompe funebri che stavi per morire (conoscendoti, non poteva essere diversamente).

Chi ti ha conosciuto fino in fondo (credo di essere tra questi) non può non protestare presso il Signore chiedendo il perché di una morte così prematura, sapendo che cosa hai compiuto per tanti e il bene che ancora avresti potuto compiere. Mi sovviene, però, quanto il Signore ha ripetuto alla comunità cristiana proprio il giorno in cui ci hai lasciato: “Questa malattia non è per la morte”. Abbiamo tutti bisogno di convertirci per assumere un altro sguardo, quello di Dio: il suo, infatti, è lo sguardo che non bada all’efficienza ma all’efficacia: ha scelto persino me e te, due testardi ed inquieti. La tua morte non sarà infruttuosa. Ne sono certo. Quante volte ne abbiamo parlato seduti attorno al tavolo mentre i bambini si intrufolavano! Se tu potessi parlare faresti tua la frase di Gesù alla vigilia della sua passione: “E’ bene per voi che io me ne vada!”. Ricordo come ora quando stavo per lasciare la Liguria che questa era la frase che aveva accompagnato il nostro colloquio. Sono convinto che è ciò che ripeteresti ora a tutti noi.

Mi mancherai. Ci mancherai: mancherai alle ragazze, ai bambini, ai volontari, ai tanti sacerdoti che ogni tanto passavano da casa tua, al vescovo della cui paternità hai sempre potuto godere fino a pochi istanti prima di morire, ai tanti amici di casa tua, a Pietra, a quanti hai conosciuto attraverso di me. So che non potrò più chiamarti e sentire la tua voce. Ma so che per la comunione dei Santi, potrò comunque godere della tua presenza.

Aiuta anche me a fare mio il tuo segreto.

Tuo fratello Antonio