Premessa

L’iconografia orientale presenta, di solito, la figura di Giuseppe come collocata all’angolo di una scena che vede come protagonisti la Madre di Dio e il Figlio Gesù. Lì nell’angolo, Giuseppe appare come figura umile, discreta, addirittura pensieroso, persino dubbioso di fronte a due eventi che lo sorpassano di gran lunga: la verginità di Maria e l’incarnazione del Verbo di Dio.

Giuseppe è figura di tutti noi che vorremmo confessare la nostra fede e, tuttavia, siamo come attanagliati dal dubbio.

Un antichissimo inno della liturgia orientale fa esprimere così Giuseppe di fronte a ciò che accade:

«Maria, che è questo fatto che io vedo in te? Non so che pensare nel mio stupore e la mia mente è sbigottita. In luogo di onore, mi hai portato vergogna; in luogo di letizia, tristezza; in luogo di lode, biasimo. Ti avevo ricevuta irreprensibile da parte dei sacerdoti, dal tempio del Signore: e ora cos’è ciò che vedo?».

La risposta al dubbio di Giuseppe viene messa in bocca a Maria:

«Perché, vedendomi incinta, sei cupo e turbato, ignorando del tutto il tremendo mistero che mi riguarda? Deponi ormai ogni timore, e considera il prodigio: Dio, nella sua misericordia, discende sulla terra, nel mio grembo, e qui ha preso carne».

Il vangelo riporta ben poco sulla figura di Giuseppe: proprio per questo, infatti, i vangeli apocrifi abbondano di notizie e di particolari a riguardo. Tuttavia, per quanto poco e lacunoso il materiale riportato dai vangeli canonici, esso è sufficiente a restituirci i tratti di una figura unica, indubbiamente singolare.

Nei racconti dell’infanzia – e in particolar modo nella descrizione di Giuseppe – molti sono i silenzi. Comprendo che noi uomini del terzo millennio abbiamo altri criteri per fare storia, ma – nel nostro caso – anche i silenzi sono da rispettare. I silenzi sono importanti almeno quanto le parole: anch’essi infatti, come le parole, vogliono aiutare il lettore a fissare l’attenzione su ciò che l’autore evangelico intende suggerire.

I vangeli apocrifi, invece, abbondano di tante notizie proprio perché la pietà popolare da una parte desidera riempire i silenzi e dall’altra fa fatica a pensare il silenzio di Dio, il suo anonimato, la sua presenza nel quotidiano della vita. Vale a dire che, coerentemente col nostro modo di pensare il divino, finiamo per pensare che esso sia omologabile a ciò che sa di straordinario. E, invece, stando ai vangeli, non troviamo nulla di tutto questo. Lo straordinario risiede proprio nel fatto che il Figlio di Dio abbia vissuto per anni una vita nient’affatto straordinaria. E questo non significa assenza del divino, non significa neanche nascondimento del divino ma un suo modo di rivelarsi con cui, d’ora in poi, dovremo misurarci.

Giuseppe è un amico di Dio che mostra la sua fede attraverso il silenzio obbediente ed è a partire da questo silenzio che va accostato.

Egli è l’uomo della notte (il vangelo ci narra tre delle sue notti) ma non è un uomo che cammina nelle tenebre. La notte viene quando la sua promessa sposa risulta incinta; quando l’angelo gli chiede di partire per l’Egitto e quando gli chiede di ritornare nella sua terra.

Lo sposo di Maria

Fatta questa premessa, entriamo nel vivo della vicenda che vede Giuseppe come protagonista.

Solo Mt e Lc ci attestano che Giuseppe è il padre legale di Gesù e lo sposo di Maria. Mt 13,55 ci fa sapere il mestiere di quest’uomo allorquando, a proposito di Gesù, si dice che è “figlio del carpentiere” (tekton, in gr., significa “artigiano che lavora il ferro e la pietra”). Verosimilmente è il mestiere che anche Gesù ha appreso stando a bottega presso suo padre.

Mt, quando presenta Giuseppe come lo sposo di Maria, ci presenta una figura squisita, indimenticabile. Di fronte all’inattesa gravidanza della promessa sposa, vorrebbe uscire in modo rispettoso da una storia più grande di lui, senza opprimere con la sua presenza quella giovane donna che egli ama profondamente, e quel misterioso bambino che ella attende: “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”.

La giustizia di Giuseppe

Dopo averci detto cosa prova lo “sposo di Maria” di fronte a un avvenimento che va oltre ogni possibilità di comprensione, Mt precisa che era un uomo “giusto”. Il giusto, per la Scrittura, è colui che “si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1). Il giusto è colui che è sempre disponibile a compiere con gioia e fedeltà la volontà del Signore.

Giuseppe è combattuto: il suo essere giusto andava dimostrato proprio senza guardare in faccia a nessuno se voleva rimanere fedele alla legge.

La figura di Giuseppe sembra vivere in disparte, a tratti sembra persino assente e comunque secondario rispetto a Maria e a Gesù. Eppure senza Giuseppe non ci sarebbe stato Gesù: se Maria, infatti, fosse stata licenziata poteva anche, secondo la legge essere lapidata. È Giuseppe che è chiamato ad acconsentire a quel parto e perciò con la sua presenza, con la sua attenzione, con il suo sostegno lo permette.

Giuseppe scopre cosa vuol dire essere giusto allorquando accetta di obbedire alla Parola di Dio, consegnando la propria vita a un progetto che lo supera e acconsentendo di prendere con sé Maria. Scopre che c’è una giustizia superiore, quella che suo Figlio di lì a poco chiederà nel famoso Discorso della montagna. Questa giustizia, infatti, non consiste nell’osservanza scrupolosa dei comandamenti ma nella ricerca integrale di ciò che è gradito al Signore, accogliendo ogni cosa con totale obbedienza.

Proprio questa obbedienza dischiude per Giuseppe una nuova vita le cui prospettive sono assolutamente inaspettate: egli, infatti, deve apprendere un altro modo di essere sposo e padre. Sarà lui a dover dare il nome a Gesù e sarà alla sua responsabilità e al suo amore lui che Dio affida suo Figlio. Se Maria sarà colei che offrirà il grembo al Figlio di Dio, Giuseppe sarà colui che gli consentirà di essere “il Dio-con-noi”.

Giuseppe scoprirà un nuovo verbo, acconsentire, che è il verbo tipico della fede. Dall’osservare all’acconsentire: ecco il passaggio da compiere.  Si acconsente – e per Giuseppe non è stato diverso – non senza un travaglio. È il travaglio del razionale che vorrebbe capire e non può; la caratteristica del maschile conosce una ferita della propria immagine di uomo, vede il sovvertimento dei propri progetti e un disorientamento totale a livello personale.

Il travaglio non è mai indolore e non necessariamente porta all’esito atteso: poiché era giusto non voleva ripudiarla e decise di licenziarla in segreto (Mt 1,19). È una tipica soluzione di compromesso a cui Giuseppe arriva partendo da una giustizia tutta umana.

Mentre pensava a queste cose: è la fatica del discernimento, la fatica del tenere insieme parola di Dio e realtà contingente. Giuseppe conosceva la legge e cercava di capire come comportarsi, mettendo a confronto proprio la situazione in cui era venuto a trovarsi a motivo di Maria incinta e ciò che attraverso le Scritture il Signore gli rivolgeva.

Il maschile

Giuseppe, insieme a Maria, è testimone di un progetto che proprio attraverso di loro giunge a maturazione. In ognuno di noi sono presenti, a livello psicologico, due principi: il principio maschile e il principio femminile, che rappresentano l’uno aspetto attivo e l’altro quello recettivo della personalità.

L’aspetto maschile si manifesta in noi come attività, estroversione, autoaffermazione, razionalità, volontà, organizzazione, bisogno di controllo tanto nei confronti del mondo esterno che di quello interno; quello femminile, invece, si manifesta come recettività, introversione, affettività, immaginazione, intuizione, donazione, capacità di accettazione e di abbandono.

Sono due aspetti da esprimere in armonia, contemporaneamente, anche se con modalità diverse secondo le caratteristiche di ciascuno. Chiamati a coniugare continuamente contemporaneamente razionalità e affettività, volontà e accettazione, autoaffermazione e dono, estroversione e introversione. Ho usato a proposito l’avverbio contemporaneamente perché esso indica bene il continuo lavoro da fare su di noi e in noi. La maturità di ciascuno di noi, infatti, risiede proprio nella capacità di attivare gli aspetti carenti (di carattere maschile o di carattere femminile) fino a farli interagire in maniera sempre rinnovata.

Cosa può significare tutto ciò?

Che siamo chiamati a coniugare continuamente razionalità e affettività, volontà e accettazione, autoaffermazione e dono, estroversione e introversione, logica e intuizione, attività e recettività.

Giuseppe rappresenta appunto l’aspetto maschile caratterizzato da attività, razionalità, autoaffermazione, caratteristiche che vanno messe temporaneamente a tacere perché Maria, l’aspetto femminile, possa dare alla luce il Figlio.

Il sogno

Giuseppe è l’uomo dei sogni, è l’obbediente che accoglie integralmente la volontà di Dio, è l’uomo che sa “prendere con sé”, cioè sa prendersi davvero cura delle persone affidategli.

Che cosa evoca il sogno? Evoca il modo in cui Dio entra nella vicenda umana. Dio parla anche nella vita quotidiana e nella esperienza normale. Ecco lo straordinario!

Anche i sogni possono essere visite del Signore, ma occorre un cuore puro, un’esistenza sobria, un corpo disciplinato perché solo in quel caso, se Dio prende l’iniziativa, i nostri occhi possono vederlo. Questo non vuol dire che di per sé il sogno sia rivelazione di Dio: lo sono solo se e quando Dio volesse servirsi di essi.

Giuseppe accoglie il sogno di Dio perché riesce a sognare una storia in cui Dio si coinvolge totalmente per la salvezza delle sue creature. Tanto è vero che tutte le volte che l’angelo gli parla, Giuseppe obbedisce prontamente. Per tutta risposta, infatti, egli “prese con sé”.

La prima volta è al termine dell’annunciazione di cui egli è il destinatario: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”.  In seguito, il “prendere con sé” riguarda l’ordine angelico circa il bambino e la madre da far riparare in Egitto; infine la stessa espressione ricorre quando si tratta di ritornare dall’Egitto.

Giuseppe scopre che non c’è notte che non sia rischiarata dalla luce della presenza di un Dio che vuol essere il “Dio-con-noi”. Proprio questa consapevolezza gli restituisce forza di prendersi cura e di accogliere con sé Maria e il bambino.

Tutto questo accade di notte. La notte non è soltanto un dato cronologico in cui tutto questo accade. È qualcosa di più: è una vera e propria esperienza di buio in cui Giuseppe emerge veramente come padre di Gesù. Chi è il padre, infatti, se non colui che custodisce, protegge e apre il cammino?

Non a caso è il genitore la figura che meglio di ogni altra incarna il prendersi cura da parte di Dio della nostra fragilità. Giuseppe non è soltanto il padre che provvede al bambino quando è giorno, ossia, quando tutto fila liscio. Giuseppe è chiamato a prendere con sé quel bambino proprio nella notte, ovvero quando le difficoltà sembrano avere la meglio e il dubbio, l’agguato e il terrore sembrano essere gli unici compagni di viaggio. La notte va affrontata con fermezza e dedizione: essa può essere attraversata e vissuta solo non smarrendo il ricordo del giorno, ossia del momento in cui era facile vivere nella giustizia.

È la notte che invera quanto egli tenga più a Maria e al bambino che a sé: proprio nella notte egli non gioca al ribasso, a tirarsi indietro ricercando le proprie comodità e sicurezze. Egli diventa figura di come Dio si prenda cura di tutti come un Padre. Da dove apprenderà Gesù l’invito a non affannarsi se non da questo atteggiamento concreto sperimentato tramite Giuseppe?

Figlio di Davide

Giuseppe, figlio di Davide!  Ecco lo spiraglio: Giuseppe stava cercando di far fronte a quella situazione solo a partire da sé. L’angelo, invece, gli ricorda un aspetto di cui è chiamato a fare memoria: figlio di Davide. Vale a dire: la sua situazione personale è inserita in una storia che lo precede e lo supera, una storia che ha a che fare con la promessa di Dio. È come chiamato a tirar fuori dall’armadio il suo album di famiglia: che fine ha fatto? La tua è una storia legata ad una promessa, che è promessa di futuro. Il contesto, certo, non lo aiuta. Dal punto di vista storico, quello d’Israele è un contesto di fallimento: non a caso il Sal 89 recita: “ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né sacerdote…”. Israele è dominato dai romani: chi pensa più che Dio possa mantenere le sue promesse?

Vi inviterei a leggere da questo punto di vista il nostro contesto storico, culturale, sociale, politico, religioso. Chi di noi crede ancora che anche per la sua esistenza c’è una promessa?

La prima intuizione che Giuseppe trae dal richiamo al suo essere figlio di Davide (cfr. la genealogia: una vicenda tra infedeltà degli uomini e fedeltà di Dio) è il ricordo della fedeltà di Dio. Dio non è come gli uomini.

Comincia a pensare, così, che quello che è accaduto a Maria possa essere l’inizio della realizzazione della promessa fatta a Davide.

Non temere di prendere con te Maria tua sposa

Il maschile è sollecitato a rischiare la strada dell’assurdo, una strada, cioè, apparentemente non percorribile; il maschile è sollecitato a mettere a tacere i dubbi della ragione e a dire anch’egli il suo sì.

Giuseppe, come sappiamo, accoglie l’invito. E anche se sulle sue labbra non troviamo le stesse parole di Maria, di fatto si dichiara anch’egli servo del Signore, proprio mettendo a tacere le esigenze della sua personalità per accogliere un’altra istanza, a lui immediatamente non consona.

Giuseppe corre anche il rischio del pettegolezzo nel prendere Maria, già incinta. Emerge qui il Giuseppe anticonformista che perciò acconsente a portarla nella sua casa.

Se è vero che senza Giuseppe non ci sarebbe stato Gesù quanto alla possibilità di nascere, è altrettanto vero che senza di lui chi si sarebbe preso cura di Maria e del Bambino, chi li avrebbe guidati e salvati conducendoli in Egitto?

In qualche modo Giuseppe è trascinato suo malgrado in questa vicenda ma proprio l’aver acconsentito ha manifestato la sua esistenza come un atto di continuo dono di sé, mettendosi a disposizione di un Dio sempre in cerca di collaborazione.

Si può trascorrere la vita intera custodendo la domanda circa il “che cosa voglio?” e non riconoscere nella vita già un’implicita istanza perché non risponde alla mia aspettativa (aspettativa≠attesa). Ci si realizza non quando ci si autoafferma. È la vita che continuamente ci interpella sovvertendo tanti nostri progetti portandoci dove forse non avremmo mai immaginato di andare. Come Giuseppe, anche noi, siamo chiamati ad andare oltre la nostra volontà, rinunciando alle risposte rassicuranti della ragione per assumere l’aspetto Maria, facendoci guidare da esso, proprio mentre sembrerebbe che siamo noi a guidarlo. Il maschile, in questo caso, è chiamato a mettersi a disposizione del femminile. Come Giuseppe siamo chiamati a sostenere operativamente le intuizioni di Maria, così da permetterne l’incarnazione nel nostro quotidiano.

Nella misura in cui acconsente a prendere con sé Maria, Giuseppe diventa persona aperta al cambiamento, diventa capace di integrare aspetti nuovi, di misurarsi con ciò che è diverso, altro da sé. È l’invito ad uscire dal ruolo. Giuseppe è figura in continuo spostamento: non ha patria, non ha ruoli, è guidato soltanto da una parola cui ha provato a dare fiducia. L’immagine è volutamente simbolica perché si oppone a tutto ciò che è stasi, immobilismo, sclerotizzazione di pensieri, di sentimenti, di ruoli, di situazioni. Giuseppe è continuamente chiamato a stare nella vita e la vita è dinamismo, apertura, rinnovamento, processo. Inoltre è sollecitato a quotidiane separazioni, a mollare gli attaccamenti primi a un luogo, un ruolo, una condizione fissa da cui far dipendere la propria identità. La sua identità è nel divenire: è chiamato a divenire padre di quel Bambino che gli è affidato.

Nonostante si trovi in una situazione drammatica, Giuseppe custodisce ancora degli occhi capaci di stupirsi, pronti a vedere la meraviglia che sta germogliando nella sua vita. nel tessuto delle ore e dei giorni di ogni esistenza Dio prepara sempre la sua novità.

Giuseppe prende con sé Maria preferendo Maria alla propria discendenza: sceglie l’amore alla capacità di generare. Giuseppe non dà ascolto alla sua paura e perciò diventa vero padre di Gesù, anche se non ne è il genitore.

La scelta di Giuseppe è compiuta solo grazie ad una memoria storica nella quale riconosce la fedeltà di Dio alla parola data e la parola tessa di Dio. Non c’è nessuna evidenza. Tutto avviene di notte, in quell’ambito in cui non si dispone di qualcosa di fisico cui aggrapparsi.

Lo scandalo

La vicenda di Giuseppe ci fa comprendere come il disegno di Dio si manifesti a partire da una situazione contraddittoria, di scandalo addirittura. Lo scandalo, in questo caso, diventa addirittura materiale prezioso perché Dio manifesti qualcosa di sé, attraverso lo scandalo Dio manifesta nientemeno che se stesso. Penso qui a tutte le situazioni che immediatamente sfuggono alla nostra presa (com-prendere), che ci risultano di ostacolo (appunto) e che, invece, sono interpellanza ad entrare in un atteggiamento di obbedienza perché il nuovo, l’inedito possa avere diritto di cittadinanza. Giuseppe assume addirittura lo scandalo non rifiutando, non condannando ma accogliendo e prendendo con sé.

Maria rappresenta per Giuseppe tutto ciò che eccede ogni possibile modo di pensare le cose. E così, per la fede obbediente di Giuseppe, Gesù può entrare a pieno titolo in una discendenza dalla quale, altrimenti, sarebbe tagliato fuori.

Chiamati a far sì che le contraddizioni della storia divengano luogo di rivelazione: questo è l’invito che ci viene rivolto dal dramma dell’uomo Giuseppe.

Giuseppe diventa, così, figura di chi sa stare a contatto con la propria storia, la ascolta, si lascia interrogare e mettere in discussione proprio in quello che più era corrispondente addirittura al suo credo religioso: Maria e quello che porta con sé sono oltre la legge (a volte, è vero, summum ius summa iniuria: il massimo del diritto può essere la più grande ingiustizia). Era una legge vincolante quella che lo obbligava a ripudiare la sua ragazza. Eppure, proprio in quella vicenda scorge un modo di venire di Dio che è sorprendente: Dio passa addirittura attraverso un’esperienza di impurità alla quale Giuseppe accetta di sottoporsi. C’è un passato che Giuseppe accetta di sacrificare per intraprendere un altro cammino e così non si colloca contro la legge ma oltre la legge. Anche questo Gesù deve averlo appreso in casa: l’invito a quella giustizia superiore che rivolgerà ai discepoli lo aveva respirato proprio in questo atteggiamento di suo padre: oltre la legge. È attraverso un angelo che gli parla nel sogno – vale a dire attraverso la disponibilità ad ascoltare il proprio sé, il proprio profondo e non fermarsi alle ragioni dell’io – che Giuseppe accetta di sovvertire completamente le indicazioni comportamentali di una legge per accogliere le sollecitazioni inedite della vita.

Non accontentarsi di ciò che appare perché questo porta inevitabilmente a giudicare e a condannare, finendo per semplificare in modo indebito proprio la complessità dell’esistenza.

Comprendiamo così perché questo brano non ci è affatto estraneo: dentro di noi accogliere la vita anche quando quest’accoglienza non è affatto scontata e “canonica”.

La lotta

Spesso crediamo che Dio non parli mai! Egli parla normalmente attraverso il Vangelo, la meditazione ed il silenzio. Parla anche attraverso i fatti, le situazioni, gli incontri: ma poiché non abbiamo occhi per vedere la realtà dal di dentro, non percepiamo ciò che il Signore vuole insegnarci. Il Signore parla anche dentro di noi.
Lo fa attraverso le domande più profonde che abbiamo nel cuore, i desideri più veri, i sogni più grandi. Dobbiamo però avere occhi interiori attenti, raffinare la nostra sensibilità, purificare il nostro cuore. Infatti Dio ci parla in tutti i modi possibili ed in ogni momento.

Talvolta pensiamo al rapporto con Dio come se si trattasse di un’intimità confortevole. Invece essa è spesso accompagnata da molta fatica e da un clima di lotta. Lotta con se stessi, con la propria carne, con le proprie passioni…. Giuseppe fece la sua lotta: contro il dubbio. l’angoscia, la sofferenza interiore. Era un uomo giusto!
Non voleva fare del male a nessuno. Per questo non volle accusare pubblicamente Maria. Anche lui uomo del silenzio: intuisce un mistero che però non comprende, ma mette a tacere ogni pensiero negativo. Fa il suo buon combattimento spirituale. Comprendiamo dal suo esempio che la fede non è un comodo rifugio per anime deboli, ma un’avventura per gente che non teme di lasciarsi mettere in discussione.

Infatti i più grandi mistici della storia della spiritualità cristiana hanno sempre vissuto quella che è stata ben definita, a partire da san Giovanni della Croce, la “notte oscura”. Periodi, anche lunghi, di tentazioni e di aridità, ma anche di purificazione e di crescita! Giuseppe era assillato da un conflitto tra cuore e ragione, tra amore per la sua donna e giustizia.

Un’angoscia interiore così grave che tormenta pure le sue notti. Attraverso i sogni Giuseppe percepisce il messaggio di Dio ed inizia a vedere la propria storia con gli occhi di Dio stesso. Comprende la sua chiamata: quella di dare un nome ed una discendenza al Figlio di Dio, nato da Maria sua promessa sposa! Il rischio della libertà. Giuseppe è il modello dell’autentico credente. È colui che più di tutti si fida! La sua fiducia si fonda sul messaggio misterioso ma reale di Dio, ricevuto nel sogno e nelle promesse.

Giuseppe testimonia che la vita va affrontata come pellegrinaggio e non come un vagabondaggio. Essa deve avere una meta precisa ed un senso che solo il Signore sa dare!

Per Giuseppe il culmine della maturità si ha nella sua obbedienza immediata a Dio. Mette tutto da parte, in secondo piano: i suoi pensieri, i suoi ragionamenti, i suoi diritti, solo Dio adesso conta e solo Lui! La maturità di un uomo si misura dunque dalla sua capacità di obbedire a Dio. Non si tratta di creduloneria o semplificazione, ma di robusta capacità di giudicare la fede come corrispondente a ciò che il cuore desidera. La ragione, lasciata a se stessa, scrive il Santo Padre Benedetto XVI, conduce all’opinione, che può prendere la forma di una resistenza alla verità. L’obbedienza conduce invece alla Verità.

Giuseppe ci educa ad essere “giusti”, cioè a fidarsi di Dio, a non giudicare secondo le apparenze, a non perseguire la smania dell’apparire e dello stupire a tutti i costi. Insomma ci insegna ad essere attenti alla Voce del Signore: in essa è la nostra vera libertà. Non c’è uomo più libero di chi ha imparato ad obbedire!