Quanto mai singolare la figura di Giuseppe. Un celebre oratore, J.B. Bossuet (1627-1704), scriveva così di lui: “Giuseppe, col tuo silenzio parli a noi uomini dalle mille chiacchiere; con la tua modestia sei superiore a noi uomini dai mille orgogli; con la tua semplicità tu comprendi i misteri più nascosti e profondi; col tuo nascondimento sei stato presente ai momenti decisivi della storia dell’uomo”.

Chi è davvero Giuseppe? L’iconografia lo raffigura quasi sempre come uomo attento e al contempo pensieroso. Il suo volto tradisce non poche perplessità: “Chi è mai questo figlio non mio? È possibile dare credito a un sogno?”.

Nel vangelo egli viene presentato come l’uomo giusto, ma la giustizia evangelica non riguarda l’ambito morale quanto la capacità di vivere grazie alla fede. “Giusto è per la Scrittura colui che si contrae di fronte alla presenza di Dio, ritira le proprie pretese, accetta il piano dell’Altissimo anche là dove sconcerta il proprio”.

Figura, Giuseppe, che ha conosciuto il nostro stesso dramma di fede. Giuseppe ci ricorda, infatti, che la fede non è solo disporre di un bagaglio di verità, essa è anche passione, cammino non sempre lineare che talvolta conosce la fatica della salita.

Quella di Giuseppe è una fede che matura in un vero e proprio travaglio interiore. Non è affatto una fede ingenua o infantile. È una fede che si confronta con quanto il Signore gli suggerisce e con quanto egli sente nel suo cuore. Una fede che si declina come disponibilità a lasciar fare a Dio. Di Abramo viene detto che ebbe fede sperando contro ogni speranza, di Giuseppe ci viene ricordato che egli credette in un Dio che chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono (Rm 4,17). Credette che Dio può operare al limite dell’assurdo e sul versante dell’impossibile. Se Maria dovrà mettere a disposizione dello Spirito il suo grembo, Giuseppe deve mettere a disposizione la sua mente, il suo modo di vedere le cose.

Sarà vero sposo e vero padre e tuttavia non pienamente; starà accanto ad una donna con la consapevolezza che Maria non sarà solo per lui; dovrà accudire un figlio mentre si sentirà rispondere: “non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Una vera e propria spada si sarà conficcata nel cuore di Giuseppe. Eppure nessuna reazione o, meglio, la scelta del silenzio. Non poche volte il silenzio è la forma più alta del soffrire. Gesù stesso deve aver imparato molto dal silenzio di Giuseppe nel tempo in cui stava “loro sottomesso”. Il silenzio di Giuseppe non è un silenzio di debolezza. È il silenzio che dà un peso speciale alle rare parole che escono dalla sua bocca.

Giuseppe ci ricorda che quanto più gravi sono le situazioni nelle quali ci troviamo, più grande è l’opera che Dio vuol compiere attraverso la nostra disponibilità a fidarci di lui. Ciò che a noi può sembrare motivo di turbamento o addirittura di ostacolo, può essere, nel progetto di Dio, quel di più che ci porta a maturazione piena e a salvezza. È la stessa logica della croce che, immediatamente, è uno scandalo, ma proprio attraverso di essa il Signore prepara quello che noi neppure osavo immaginare e sperare.

Come Giuseppe, dovremmo accogliere con grande fiducia l’invito che risuona nelle sue notti: Non temere! Mai temere quando la realtà eccede le nostre aspettative. Di fronte ad essa fermarsi e adorare un disegno che certo ci supera ma che, attraverso di noi, può trovare compimento.