Ieri mattina, mentre per noi si dischiudeva un nuovo anno di vita, Antonio entrava per sempre nella vita stessa di Dio. Quella che stiamo celebrando, infatti, è la pasqua di Antonio, il passaggio, appunto, da questo mondo al Padre. Una pasqua inaspettata sebbene Antonio se ne vada sazio di giorni che, a dispetto dell’età anagrafica, celava assai bene: da quando giovedì scorso la sua situazione di salute si è fatta improvvisamente precaria, c’è stato solo il tempo per un contatto filtrato dal vetro essendo ricoverato in un reparto speciale.

Un uomo professionalmente affermato, affettivamente riuscito con la bella famiglia che ha messo su nel corso del tempo. Ad un tratto della sua vita, oltre quarant’anni fa, ha come avvertito una vocazione nella vocazione, quella di occuparsi della cosa pubblica prestando con spirito di abnegazione il suo servizio come amministratore ricoprendo dapprima la carica di consigliere comunale, poi di assessore all’urbanistica e, infine, quella di Vicesindaco della nostra città.

La sua abnegazione l’ha manifestata fino al giorno prima di morire quando, sua preoccupazione era che i suoi non stessero li accanto a lui sebbene oltre un vetro, come ricordavo, ma avessero cura di se stessi tornando a casa a pranzare.

Lo salutiamo in questo giorno in cui celebriamo l’amicizia tra san Basilio e san Gregorio: “Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo”, scrive Gregorio. Non finiremo mai di apprendere l’arte tanto difficile eppure quanto mai sensata che in amore l’altro viene sempre prima di te e delle tue ragioni. Antonio lo ha vissuto e trasmesso fino alla fine.

Il Signore ha chiamato a sé Antonio in un giorno in cui tra i tanti temi c’è proprio il rapporto con il tempo. Abbiamo iniziato un nuovo anno. Ma sarà un anno nuovo? Noi abbiamo del tempo una percezione astronomica: un anno dopo l’altro, una stagione dopo l’altra e così via (κρόνος). È questo lo sfondo su cui senza dubbio si svolge la nostra vita: nell’ordine di una successione ripetitiva.

Tuttavia, in questo scorrere del tempo intervengono fatti determinati dalla volontà degli uomini o da elementi naturali che finiscono per caratterizzare in maniera qualitativa un tempo rispetto ad un altro. I fatti distinguono un’epoca da un’altra.

Cos’ha a che fare tutto questo con la fede?

Certo, se la storia cambia è perché interviene l’uomo con la sua libertà o la natura con l’ineluttabilità di certi fenomeni. Tuttavia, il credente legge questi eventi non come una storia di perdizione ma come storia di salvezza. Una storia, cioè, retta e abitata dalla benevolenza di Dio, una storia in cui accade il tempo giusto, quello di Dio (καιρός). Ed è a partire da questa lettura che si gioca la nostra esistenza: con quella capacità che coglie nell’imprevedibile l’opportunità. È quello che papa Benedetto ha inteso esprimere dicendo: “non vado verso la fine ma verso un incontro”.

Ecco, allora, per i credenti, l’invito a discernere negli eventi, i segni proprio come i pastori. Essi hanno vissuto un momento molto particolare, un vero e proprio καιρός, ma poi, di fatto, sono tornati a fare i pastori. La loro vita non è mutata negli accadimenti esterni. Tuttavia, tornano a fare i pastori in un altro modo: “lodando e glorificando Dio”. Tornando si sono messi a raccontare agli altri, non quello che hanno visto ma “ciò che del bambino era stato detto loro”. È importante questo particolare. Il fatto in sé non dice niente, il puro vedere il bambino serve a poco. Il punto è cogliere il senso. Quanti di noi assistono agli stessi eventi e non per questo ne abbiamo la stessa lettura. Cogliere il senso, dunque. E non è quello che veniamo a compiere anche in una circostanza dolorosa come questa?

Accanto ai pastori c’è Maria. Maria non racconta, ma raccoglie, collega, riflette sui fatti e li collega. Non si ferma alla cronaca ma cerca di cogliere il senso.

Non era certo ovvio mettere insieme l’annuncio dell’angelo: “lo darai alla luce, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo” e il fatto che per quel Figlio dell’Altissimo si fossero mossi solo dei pastori, lo scarto della società del tempo. Quanta fatica nel mettere insieme!

Ecco il compito, allora: serbare nel cuore, ossia, stare di fronte agli eventi non con la boria di chi si sente padrone, ma con l’umiltà di chi tutto lascia parlare, persino ciò che va oltre ogni nostra comprensione.