Avevamo risuonato positivamente per le parole di grazia che erano uscite dalla bocca di Gesù nella sinagoga di Nazaret e con Pietro abbiamo creduto alla grazia, alla forza di quelle parole al punto da osare pur dopo una notte di fatica inutile. E lo abbiamo seguito, prestando ascolto al suo invito a non temere.

Ora veniamo da lui sollecitati a metterci a scuola della sua Parola, altra rispetto a quelle che abitualmente ascoltiamo. E alla scuola della sua Parola veniamo introdotti in un diverso modo di guardare la storia. E come la guarda Dio? Alzati gli occhi verso i suoi discepoli: ecco come la guarda, dal basso verso l’alto. Guardare la storia dall’alto vuol dire solo perpetuare una logica di ingiustizia e di sopraffazione; guardarla dal basso significa assumere come parametro la sorte di chi è tenuto ai margini di essa.

Una Parola, la sua, che è per tutti. Lo esprime molto significativamente il luogo in cui essa risuona: non su un monte, come vuole Mt, a sottolineare l’autorità di quella parola, ma in un luogo pianeggiante, come attesta Lc, a voler esprimere che in quel luogo c’è posto per tutti, nessuno escluso. Infatti c’era gran folla di discepoli…gran moltitudine di gente dalla Giudea, da Gerusalemme – dunque ebrei – e da Tiro e Sidone – perciò pagani.

Una Parola, quella della pianura, che narra l’incondizionato di Dio. Già. Perché qui sta o cade tutto l’annuncio evangelico: l’azione di Dio è gratuita e non è condizionata da una determinata condotta morale che possa essere considerata come requisito previo di una tale azione. La vita morale, infatti, nasce proprio dallo stupore riconoscente e grato per ciò che Dio ha deciso di compiere in me.

E nella pianura la Parola non è all’impersonale come in Mt.  Qui essa ha dei destinatari ben individuabili: beati voi… sventurati voi…

Che cos’è che fa la differenza tra la beatitudine e la sventura? Il rapporto con il presente. Per molti il presente non ha altro volto se non quello della chiusura in se stesso, un presente che non conoscendo vuoti o mancanze è incapace di attesa e di desiderio. L’unica preoccupazione è quella di dilatare oltremisura il momento presente e perciò sono uomini senza futuro perché la loro vita è senza frutto. Il nuovo non viene mai da chi è pago di sé: in genere chi è sazio non sente il bisogno di creare occasioni nuove, avverte piuttosto quello di difendersi. Per questi tali non c’è posto per la visita del Signore a differenza di chi, riconoscendo di non bastare a se stesso, vive il presente in un modo aperto perché abitato dal desiderio, dall’attesa, dalla passione per il cambiamento.

Il vangelo è un racconto continuo di uomini e donne aperti o chiusi alla visita del Signore proprio a partire dalla condizione in cui si trovano. Peccatori, pubblicani, prostitute ci passano avanti, attesta il Signore, nell’accoglienza del vangelo del regno perché si riconoscono poveri ai quali viene recata la lieta notizia di un Dio che sceglie di stare dalla loro parte. Sin dall’inizio (cfr. l’annuncio ai pastori). E fino alla fine (cfr. i due ladroni).

Non così per chi possiede beni di ogni specie, perché la tua vita non dipende dai tuoi beni (cfr. Lc 12,13-21): di beni, infatti, si può morire perché la vita non è anzitutto aumento di ricchezza ma apertura alla comunione.

E io, in che rapporto sto con il mio presente? Di fiducia nel Signore o di autosufficienza?

Dire che i poveri sono beati non significa annunciare la beatitudine dei poveri in quanto poveri, ma poiché il Signore Gesù ha abitato anch’egli la povertà, l’afflizione, la persecuzione, queste situazioni non hanno l’ultima parola sulla nostra vita: anche in quelle situazioni Dio si rende presente e si fa compagno di cammino.

Tornano alla mente le parole di Paolo quando afferma: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la nudità, la fame…? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati”.

Ciò che le beatitudini annunciano può compiersi tutte le volte che uomini e donne prendendole sul serio, si adoperano perché i poveri siano sollevati, coloro che piangono siano consolati, chi è disperato ritrovi forza (bella una traduzione francese del nostro beati: en marche, in cammino!) Questi tali vivono nella loro storia la capacità di guardare avanti, fiduciosi nella promessa del Signore. E così non restano in attesa del futuro ma lo generano, non lo subiscono ma lo preparano e lo anticipano.