Parole di grande respiro quelle consegnate dal vangelo di quest’oggi. In un clima culturale sempre più autocentrato e autoreferenziale è una vera e propria sfida ascoltare parole come queste: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato”. La vicenda terrena di Gesù – parole ed opere – è un continuo rimando ad un altro. La sua preoccupazione è quella di essere trasparenza di ciò che ha udito e visto fare dal Padre. A Gesù sta fortemente a cuore che si vada oltre lui, la sua persona. E che cos’è la vita cristiana se non la trasparenza di ciò che noi abbiamo udito e visto fare dal Figlio Gesù? A me sta a cuore che si vada oltre me e la mia persona?
È talmente abituato alla relazione con il Padre che questa struttura anche la reazione con l’umanità. Di fronte al mondo c’è assoluto rispetto tanto da sospendere il giudizio. Non la condanna ma la salvezza: ecco il desiderio di Dio. La salvezza che il Signore offre ha sempre a che vedere con l’allargamento di orizzonti e prospettive a fronte di un clima asfittico che finisce per costringere ed opprimere, soffocare, appunto. Ancor prima che liberazione dal male, quello che Dio offre è una proposta di luce, una pienezza di vita.
C’è uno stare di fronte all’altro che fa sì che sia egli stesso ad esprimere il giudizio su di sé. Il giudizio, infatti, è quello che ognuno riesce a dare su di sé grazie alla presenza di Gesù che si pone come guida di un cammino interiore che ci porta ad andare oltre noi stessi.
Parlando di sé come luce venuta nel mondo, il Signore Gesù ha ben chiaro un dato che dovrebbe caratterizzare la testimonianza dei suoi discepoli: la luce, infatti, mette in risalto la realtà delle cose senza attirare l’attenzione su di sé.
Non poche volte abbiamo confuso l’evangelizzazione come l’utilizzo di una particolare metodologia pastorale, adottata la quale conseguire automaticamente il buon esito. Proprio le parole consegnate a noi da Gesù quest’oggi, mandano all’aria un simile modo di pensare. Evangelizzare, infatti, non è trasmettere un contenuto nozionistico e neppure assumere un metodo, quanto piuttosto entrare in una modalità di relazione che traduca la stessa relazione che c’è tra il Padre e il Figlio: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv 12,45). Bando, perciò, al protagonismo così da lasciare spazio all’altro. Chi vive questa modalità di relazione è per nulla interessato alla riuscita o meno. Non può non vivere così, come Gesù stesso testimonia: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno”.
Colui che annuncia il vangelo, proprio come il Figlio inviato dal Padre, non ha altro desiderio se non quello di promuovere vita e vita piena.
Può sembrare paradossale ma lo stile del Figlio nel comunicare la vita è di questo tipo: espropriato di se stesso non ha paura di assumere la nostra tenebra, vive la sua umanità in pienezza tanto da riflettere in essa Dio stesso, pieno di fiducia riesce a mettere in risalto persino le ombre.

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Dal Vangelo secondo Giovanni 12,44-50

In quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».