Ne avessimo la possibilità, vorremmo entrare nel cuore stesso del Signore e sentire tutta l’amarezza sperimentata di fronte all’ottusità dei discepoli i quali, proprio come la folla, mancano di sapienza e persino di buon senso.
“Così neanche voi siete capaci di comprendere?”: sembrano le parole di resa di chi ha puntato tanto su qualcuno e questi non è stato capace di reggere rispetto alla fiducia ricevuta.
Aveva attraversato i luoghi del dolore: in tanti, a Gennesaret, gli avevano portato dinanzi malati e indemoniati. A questi bastava soltanto toccare il lembo del mantello per gustare non anzitutto la grazia della guarigione fisica ma quella della salvezza interiore. E ora, invece, si trova di fronte a uomini che non si rivolgono a lui per essere guariti ma solo per creare questioni ed evidenziare contrasti: infatti i loro argomenti sono tradizioni, mani lavate o meno, formalismi vuoti. I farisei, infatti, pur non avendo motivo di accusare i discepoli per opere cattive compiute, finiscono per attirare l’attenzione sul loro non lavarsi le mani, dal momento che non sono capaci di guardarsi dentro e riconoscere che una terribile invidia abita il loro cuore.
Per questo, con forza, è costretto a scardinare il pregiudizio tra il puro e l’impuro, ribadendo come ogni realtà creata sia in sé pura: “Dio vide che ogni cosa era cosa buona”. Eppure, il cuore ha il potere di sporcare o illuminare le cose. E se il cuore è lontano da Dio, Dio non è più presente sebbene si continuino a compiere pure opere religiose. Certo, non vi è dubbio che è più facile lavare le mani che purificare le intenzioni! È più facile osservare il digiuno eucaristico di un’ora (cosa che dobbiamo continuare a fare) che riuscire a mettere un freno alla lingua e alla maldicenza. A che serve lavarsi le mani se non si è disposti a lasciarsi purificare dalle lacrime e dall’elemosina?
Che cos’è che impediva ai discepoli di allora e di oggi di comprendere quello che Gesù va insegnando? Lo individuerei in quell’atteggiamento che ci fa stare sulla difensiva e perciò tutto guardiamo con disinteresse e distrazione. Chi ha scelto una simile postazione, finisce non solo per non credere ma resta chiuso nel comprendere, appunto. Non è in grado di comprendere, infatti, chi non è capace di lasciarsi sorprendere.
Di che cosa aveva parlato il Signore Gesù? Della necessità di purificare non già gli alimenti ma gli atteggiamenti esteriori e le intenzioni nascoste da cui essi nascono. Il problema, infatti, è come esercitare la giusta cura sul cuore perché non sia contaminato da propositi di male. Da curare è proprio l’interiorità: quando questo non accade l’attenzione finisce per assolutizzare cose esteriori e superficiali. Chi ha un cuore abitato dal Signore, non c’è luogo impuro che possa contaminarlo. Sono opere gradite a Dio solo quelle che non nascono dall’angoscia di come apparire agli occhi degli uomini.
Gesù ci chiede di prendere coscienza del nostro quadro clinico. La diagnosi non è delle migliori: “propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”. E come se non bastasse, il tutto è inserito in un contesto ancor più preoccupante che va sotto il nome di ipocrisia. Guai a sentirci a posto solo perché continuiamo a lavarci “nell’acqua sporca della presunzione e dell’ipocrisia”. In fondo è vero: ci accontenteremmo, tutto sommato, di giungere ad uno stadio in cui riusciamo ad evitare la maggior parte dei sintomi di cui il Signore ci ha appena parlato. Il problema, però, è far sì che tutto questo venga sconfitto.
La differenza tra un cuore docile e un cuore indurito la fa proprio il momento della prova. Se nel nostro cuore custodiamo sentimenti di umiltà e benevolenza, nei momenti della prova tutto questo emergerà con più evidenza: ci si lascerà amare, si sarà capaci di gratitudine, si accetterà di dipendere. Se, invece, il cuore ha alimentato rancore, rabbia, si guarderà tutto con occhio cattivo. Non sono i momenti della vita, come spesso crediamo, a farci diventare cattivi ma l’assenza di Dio dal nostro cuore.

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Dal Vangelo secondo Marco 7,14-23
 
 In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
 E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».