16Una vera e propria battuta d’arresto quel giorno nella sinagoga di Nazaret. Nulla lasciava presagire una tale prospettiva, circondato com’era da una folla che stupita assisteva ai segni di Dio all’opera. Dopo i giorni in cui in maniera insperata Gesù aveva registrato aperture e accoglienze da persone da cui non ce lo si sarebbe aspettato (ultimi il capo della sinagoga e la donna affetta da perdite di sangue), l’opera di Dio conosce un vero e proprio impedimento là dove invece Dio dovrebbe essere di casa, nella sinagoga, il luogo in cui si proclama ogni sabato quello che Dio ha compiuto per il suo popolo.
Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto, commenterà anni dopo l’evangelista Gv. A Nazaret, tra i suoi, non c’è spazio per quel modo inedito di rivelarsi di Dio nella persona di Gesù. Dio ridotto all’impotenza: e lì non poteva compiere nessun prodigio. C’è uno spazio che Dio non può superare: quello della mia incredulità. Nazaret in questo caso è prototipo di un atteggiamento alquanto comune: quello di chi mai si lascia educare e interpellare da ciò che accade ma tutto riduce alla misura del proprio io.
Deve aver patito non poco lo scarto tra la sua proposta e la non accoglienza dei suoi compaesani, se sulle labbra di Gesù Mc pone una affermazione amara e sofferta: un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua. Un vero e proprio frammento di antievangelo perché traduce la chiusura ostinata di chi ha la pretesa di conoscere e gestire le cose di Dio, di chi sa come e quando è Dio. Non a caso di lì a poco diranno: costui bestemmia.
E si meravigliava della loro incredulità. Gesù non riesce a capacitarsi di come si possa arrivare a tanto proprio tra i suoi parenti, nella sua patria.
Cosa gli contestano i suoi? Troppo feriale per essere Dio. Troppo ordinario: si presenta nelle vesti di una persona comune di cui si conosce l’appartenenza sociale e familiare. Davvero un Messia della porta accanto che ha nulla di sacrale perché cancella ogni separazione con l’umano. Se Dio è Dio, invece, il suo mondo è senz’altro alto e lontano. Che razza di Dio è quello che sceglie di entrare nella storia proprio come uno di noi? Che fine fa tutto quel sistema culturale che va sotto il nome di religione costruito per raggiungere il distante mondo di Dio? Ci si scandalizza di un Dio così: a scandalizzare, peraltro, non è quello che Gesù dice o fa ma per quello che è: non è il figlio del carpentiere?
Un Dio così scandalizza, cioè fa inciampare, chi ha intrapreso ben altro sentiero modulato secondo i criteri dello spettacolare e del misterioso. È uno scandalo che Dio non confermi il nostro immaginario su di lui. E dallo scandalo si passa all’incredulità: che credito si può offrire a questo modo “quotidiano” assunto da Dio per manifestarsi? Quale salvezza per l’umano là dove finalmente non giunge un Deus ex machina a rovesciare le sorti di una trama fin troppo ingarbugliata? Può mai venire salvezza dall’umano?
Ma cosa c’è concretamente in questo voler tutelare la dignità e il prestigio di Dio? Non è forse il pretesto per la difesa di un proprio schema mentale? Non c’è forse la convinzione che dalla condizione umana non si può uscire? Non c’è forse la sicurezza di possedere la verità degli altri tanto da non sopportare chi ci costringe ad assumerne una diversa che destabilizza il nostro abituale modo di vedere le cose? Non sarà questo il motivo per cui le autorità giudaiche arriveranno alla condanna stessa di Gesù?
Il paradossale e il tragico sta nel fatto che persino la sinagoga – nondimeno le nostre chiese – possono diventare luoghi nei quali si impone il silenzio a Dio, per ascoltare soltanto il pigro rimuginare dei nostri pensieri o ciò che suggerisce una logica di alleanze tra compari a difesa di un ordine sociale in cui non c’è più spazio per Dio e per i poveri. Per rendere culto a Dio (quale Dio?) si finisce per zittirlo e metterlo a morte.
Là dove non c’è accoglienza, Gesù non si scoraggia e per questo sceglie un altro ambito di attività: ai margini, alla periferia dell’istituzione. L’insuccesso registrato tra i suoi non arresta la corsa del vangelo. Dio va altrove.
Ci è difficile pensare che Dio ci raggiunga attraverso l’umano, il nostro umano, attraverso persone come noi. La fede è credere che Dio mi visiti così, per una via accessibile, la mia. Da sempre Dio non si smentisce e ci raggiunge mediante una parola/evento (l’altro per come si presenta a noi) che invece dell’immobilismo chiede trasformazione, invece dell’attaccamento chiede conversione, invece della rigidità chiede adesione al nuovo modo in cui egli si rende presente.