“Ho compassione della folla”.
Una folla composta da zoppi, ciechi, storpi, sordi e malati di ogni genere. Una folla figura dell’umanità di tutti i tempi, bisognosa di qualcuno che si prenda cura di lei. Si tratta di quattro categorie di malati che dicono una totalità:

  • zoppo è l’uomo che è incapace di raggiungere la sua casa;
  • cieco è l’uomo che è incapace di riconoscere la sua verità;
  • storpio è l’uomo ripiegato su di sé, incapace di stare di fronte all’altro;
  • sordo è l’uomo che non potendo udire la parola è escluso dal dialogo.

È la seconda volta che Gesù moltiplica il pane per questa folla. La prima volta, erano stati i discepoli, a proporre di congedare quella folla e Gesù li aveva sollecitati: “Date loro voi stessi da mangiare”. Ma essi si erano dimostrati incapaci di provvedere, di prendersi cura. Ora, è lo stesso Gesù a prendere l’iniziativa.
Di nuovo, in questo caso, è sottolineata la distanza tra Gesù e i discepoli. Nonostante abbiano già fatto esperienza di quello che Gesù aveva compiuto per quella stessa folla, non riescono a fare altro che rimanere nella logica del calcolo. Gesù, invece, sente compassione. Mi domandavo come mai gli evangelisti non abbiano avuto remore nel descrivere una tale distanza. E trovo la risposta nel fatto che questa pagina è consegnata a memoria dei discepoli di tutti i tempi. Perciò, anche a nostra memoria.
Nonostante ripetiamo continuamente l’Eucaristia, fatichiamo a entrare nella compassione di Gesù. Ci ritroviamo di anno in anno a ripercorrere il cammino dell’anno liturgico e non siamo in grado di entrare nella pazienza di Dio.
Siccome è un compito difficile da apprendere, quello di prendersi cura, il Maestro ricomincia daccapo, ripete con pazienza quello che già ha fatto. Ed è proprio questa ripetizione che, giorno dopo giorno, ci guarisce. E lo fa chiedendoci di ripartire dal poco di cui disponiamo.
Quanti pani avete? La soluzione non è da cercare fuori di noi, ma dentro la comunità, nel modo di vivere quello di cui già disponiamo.
Sette: quanto basta! Quello che hai viene preso tutto e su tutto viene reso grazie e trasformato in dono.
Il vero miracolo è il gesto del non tenere per sé ma accettare di condividere. Per questo è improprio parlare di moltiplicazione: per la fede, le risorse si moltiplicano nella misura in cui non vengono trattenute.
Quando la vita la trattieni, l’hai bell’e persa. Se vuoi davvero possedere ogni cosa, fanne dono: ne riceverai cento volte tanto. Lo ha detto lui e, in genere, è fedele a ciò che promette.

_________

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15, 29-37)
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.

Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.