“Mamma, perdonami. Vado a farmi santo!”. Sono le parole che Gerardo Maiella scrisse in un biglietto lasciato a sua madre mentre, dopo aver fatto una corda con le lenzuola del letto, si era calato dalla finestra di casa. “Vado a farmi santo!”. Parlare della santità di Gerardo Maiella non significa pensare ad un sovrumano sforzo …
“Mamma, perdonami. Vado a farmi santo!”.
Sono le parole che Gerardo Maiella scrisse in un biglietto lasciato a sua madre mentre, dopo aver fatto una corda con le lenzuola del letto, si era calato dalla finestra di casa.
“Vado a farmi santo!”.
Parlare della santità di Gerardo Maiella non significa pensare ad un sovrumano sforzo di volontà da parte di un uomo che conquista una meta con grande fatica, ma ad un sereno cammino di abbandono fiducioso a un Dio dalla parte dell’uomo.
Tanta era la fiducia che aveva con il Signore da arrivare persino a giocarci insieme mentre Gesù Bambino si stacca dalle braccia della Madonna di Capodigiano per offrire un pane al piccolo Gerardo.
Tanta la confidenza e il desiderio di ricevere l’Eucaristia da arrivare persino a scomodare san Michele Arcangelo il quale, svegliandolo nel corso della notte, prende dal tabernacolo un’ostia consacrata e lo comunica.
Il rapporto franco e sincero che aveva con il Signore lo porta persino a dire un giorno a Gesù che gli chiedeva “Pazzerello, che fai?”, “Non sei più pazzo Tu, che te ne stai rinchiuso nel tabernacolo? Se io sono pazzo, è per tuo amore”. Un’altra volta, a Gesù che lo chiamava dal tabernacolo, proprio come un amico fa con l’amico, Gerardo risponde: “Via, Signore, lasciatemi andare per favore, ho da fare, altrimenti il padre superiore mi rimprovera”.
In ciascuno di noi c’è una voce che chiama ad essere protagonisti di una relazione da vivere con Dio in modo dinamico, vivo, aperto, anche se talvolta fragilmente esposto agli eventi della vita, ma comunque radicata nella certezza di essere davvero amati come figli. Di questo, Gerardo, era non solo consapevole ma ne andava fiero tanto da arrivare persino a prevenire con la sua obbedienza gli ordini che il superiore intendeva dargli.
Abbiamo spesso pensato alla santità come alla capacità di rovesciare in modo eroico le proprie tendenze. Eppure, stando al vangelo, nulla di tutto questo. La santità, infatti, ha a che fare con la felicità, anzitutto. Non si tratta di un cammino secondo la segnaletica della rinuncia ma secondo quella della pienezza, del compimento. E questo nella quotidianità del nostro vivere segnato da non poche contraddizioni.
Alla sorella Brigida che, nel periodo in cui Gerardo si trovava a Deliceto, gli aveva proposto di tornare a Muro, così da poter ritrovare Gesù nello stesso luogo in cui egli aveva iniziato a conoscerlo, Gesù non esitò a rispondere: “Non occorre, ora lo ritrovo in ogni luogo”.
Non abbiamo mai sognato un altrove rispetto al luogo in cui ci troviamo o al momento che stiamo attraversando? Quante volte!
Gesù non propone mai un altrove ma un altrimenti.
Gesù tanto rifiuta questa categoria dell’altrove che ai suoi darà appuntamento proprio in Galilea là dove torneranno a fare quello che sapevano fare prima. Se allora il rapporto con lui non richiede una diversa collocazione rispetto a quella di provenienza, vuol dire che il quotidiano è da leggere con un alfabeto diverso.
La vita così com’è è il luogo in cui Dio sceglie di abitare.
A chi stupito gli chiedeva come mai si fosse sottoposto alla pena di privarsi della Comunione, pena inflittagli addirittura da S. Alfonso, il quale aveva dato credito alle calunnie di una donna sul suo conto, Gerardo, con la spontaneità propria di chi sa di essere nella verità, risponde stupendo tutti: “Me la scialo nella immensità del mio caro Dio”. Come a dire che se non posso ricevere il Signore nel sacramento, di certo posso incontrarlo nella perfezione delle sue opere e delle sue creature.
Gerardo, per via delle sue condizioni di salute, era chiamato il “fratello inutile”. Mai definizione più appropriata. Inutile non perché non si potesse far affidamento sulla sua prestanza fisica ma perché non ha mai ricercato un utile per sé, proprio come Gesù stesso chiede ai suoi discepoli nel vangelo: “Quando avete fatto quello che dovevate fare dite: siamo servi inutili”. Servi, cioè, non preoccupati del proprio tornaconto.
“Chi siamo e a che cosa crediamo viene fuori davanti al disagio, nell’ora arrischiata” (Pavese). La prova è stata una costante dalla quale Gerardo non si è mai sottratto. A chi gli suggeriva di ribellarsi facendo valere le sue ragioni, ripeteva: “C’è Dio: tocca a Lui pensarci! Si muoia sotto il torchio della volontà di Dio!”.
La capacità di andare oltre le ragioni della ragione è il momento che rivela come ci sia qualcosa, qualcuno che vale più della nostra stessa vita.
I santi altro non sono se non uomini e donne che hanno intuito la bellezza della novità di vita che viene dal vangelo e di divenire familiari di Dio (Ef 2,19).
Per ciascuno di noi deve esserci un solo rimpianto, una sola nostalgia, quella di non essere santi (Leon Bloy).
Non altrove, quindi, ma altrimenti. Ecco cos’è la santità di Gerardo Maiella.