Un primo elemento balza subito ai nostri occhi: al candore di Filippo fa riscontro la diffidenza del maestro Natanaele (pare che i rabbini studiassero la Torah sotto una pianta di fico). E a fronte di questa diffidenza Filippo non si sofferma nel dare argomentazioni plausibili. Non gli resta che proporgli: “vieni e vedi”. Compito del testimone non è tanto quello di offrire qualcosa di suo quanto di condurre dinanzi al Signore.
Chi è Natanaele? Immediatamente potremmo accostarlo come uomo della tradizione. Il suo approccio alla vita e, dunque, anche a Gesù, è quello di inserire tutto in una trama di avvenimenti che gli sono familiari. E Nazaret non è compresa nella sua geografia: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Sa dov’è Nazaret ma non fa parte di qualcosa che risponde alla sua aspettativa. È uno che ha studiato, Natanaele. E proprio perché ha studiato sa che non sorge profeta dalla Galilea (secondo le parole dei farisei a Nicodemo in Gv 7,2). Secondo lui non è possibile trovare il personaggio giusto, il Messia, nel posto sbagliato, Nazaret. Natanaele resiste a lasciarsi coinvolgere dall’entusiasmo altrui: guai a mostrarsi creduloni ingenui. A volte, però, dietro certe resistenze istintive si nasconde la paura di mettersi in gioco.
Io vedo questa pagina come una pagina di fraternità. Filippo è il discepolo di Natanaele, un discepolo che non demorde, facendo capire al maestro che a volte gli schemi con cui leggiamo le cose sono inutili e fuorvianti. Anche Natanaele è chiamato a scrollarsi di dosso gli schemi di precomprensione. Filippo gli propone di fare un salto di fiducia. È invitato a seguire prima ancora di essersi reso conto e magari aver consultato gli esperti. Accetta così la non ovvietà di Dio: Dio sta inventando una geografia nuova, quella che anche noi oggi fatichiamo a riconoscere e accettare.
C’è la possibilità – Dio solo sa come, se è vero che può fa nascer figli di Abramo anche dalle pietre – che qualcosa di buono possa venire anche da dove è stabilito che non debba venire nulla di buono. Come a dire che l’itinerario del credente è quello di non aver paura di frequentare i luoghi dell’improbabilità: vedrete cose ben più grandi di queste.
E Gesù non esita a riconoscere in Natanaele un vero israelita, in cui non c’è falsità. Certo era stato attraversato dal dubbio, dall’obiezione ma questo non aveva precluso ogni possibilità. Non era stato bloccato dal pregiudizio. Alla proposta di Filippo, aveva accettato di mettere in discussione la sua sicurezza intellettuale. Un uomo capace di ricredersi.
È leale proprio perché disponibile alla novità: per questo ammette di poter sbagliare. La prima diffidenza non lo lascia sulla sua posizione ma lo spinge ad una ricerca appassionata. E così passa dalla diffidenza allo stupore. Uno stupore che Gesù assicura come una costante del discepolato: alla sequela di Gesù non è mai conclusa l’esperienza della meraviglia. Come mai? Perché? Perché Gesù è una scoperta perenne, sempre nuova.
Il cielo aperto: non è più chiuso il cielo sopra di noi; Dio ha cessato di restare in silenzio e la comunicazione con lui non sarà più occasionale ma permanente. Gesù è il tramite di tale comunicazione.

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Dal Vangelo secondo Giovanni 1,45-51

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».