Celebriamo la festa della Presentazione del Signore. Dio prende l’iniziativa di venire incontro al suo popolo e porta a compimento l’attesa più vera da sempre deposta nel cuore dell’uomo. Siamo fatti per l’incontro con Dio: questo è il senso del nostro essere al mondo e tutto ciò che facciamo, tutto quello che diciamo è chiamato ad essere anticipo, segno, primizia di ciò che gusteremo in pienezza quando lo vedremo faccia a faccia.

Tanti sono i modi attraverso i quali Dio ci viene incontro, ma non è scontato che ci si accorga. Quel giorno, al tempio, mentre veniva presentato al sacerdote per adempiere quanto prescritto dalla Legge del Signore, quel bambino non aveva nulla di straordinario che potesse additarlo come il Signore da sempre atteso. Pur essendo Dio, si sottoponeva anch’egli a quella legge secondo la quale il primogenito dovesse essere riscattato. Nessun privilegio nel suo venire alla luce e nessun privilegio nel suo misurarsi con la vita.

Un Dio velato, nascosto: sarà la caratteristica del suo modo di venire incontro. Non è forse così anche nell’Eucaristia, quando ancora una volta egli si umilia presentandosi in un segno tanto comune quanto ordinario da rischiare l’irrilevanza?

Mai segni esibiti dell’evidenza perché nessuno si senta costretto a doverlo accogliere, sempre segni umili che richiedono tutta la fatica e la tenacia della fede. Il segno, infatti, è sempre passibile di letture personali. Tanto è vero che quel giorno, il sacerdote preposto ad accogliere quel bimbo, non avrà neppure il sospetto di tenere tra le braccia colui che era il motivo stesso del suo essere lì. Tanto preso dall’esecuzione di un rito e dall’adempimento di una norma, da non avere il benché minimo sospetto che tra le sue mani stava passando Dio stesso. Si può essere a un palmo da Dio e non accorgersene: accadrà a tanti, come riporterà il seguito del Vangelo, accade a noi non poche volte. Può accadere di essere distratti proprio su ciò che più meriterebbe la nostra attenzione. E non basta neppure aver fatto una scelta di vita particolare – come il sacerdote al tempio in quella circostanza – per essere in grado di non mancare il senso di un’intera esistenza. Era convinto che Dio lo si potesse incontrare solo attraverso l’adempimento formale di un cerimoniale e non credere, invece che l’umiltà è la veste propria di Dio.

C’è un velo da togliere da ogni cosa per scorgere che egli è più presente di quanto immaginiamo. A togliere questo velo, strano a dirsi, sono due piuttosto avanti negli anni, due navigati, diremmo noi, eppure mai rassegnati, ancora desiderosi di conoscere in che modo Dio li avrebbe visitati.

Simeone e Anna, due la cui vita ha una caratteristica che gli ha permesso di non mancare all’appuntamento decisivo, l’attenzione. Simeone e Anna ricordano a tutti noi che la vita è fatta per qualcosa di più grande rispetto a quello che abitualmente ci affascina o ci inquieta. Nel fondo del nostro cuore c’è un’attesa che nulla e nessuno potrà mai soddisfare pienamente se non l’Unico che può colmarla, il Signore. Tutto è traccia di lui: a noi il compito di comporre continuamente le tessere di quel mosaico che è la nostra esistenza.

Quel giorno, dopo tanta attesa, Simeone scorse che quel Bambino era il motivo per cui era valso stare al mondo. Ora poteva anche morire: aveva raggiunto e scoperto il senso del suo vivere. Davvero, vivere e morire si equivalgono allorquando hai la gioia di poter riconoscere che Dio ha lambito la tua vicenda umana. L’incontro con lui riscatta pagine che altrimenti resterebbero insensate. Tutto ritrova il suo posto quando è illuminato dalla luce della presenza del Signore. C’è una salvezza preparata da sempre per ciascuno di noi: a noi il compito di riconoscerla e accoglierla come quel giorno i santi vegliardi Simeone e Anna.

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Dal Vangelo secondo Luca 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore –  come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.