“Sarà chiamato Emmanuele” (Mt 1,23), così l’angelo aveva annunciato a Giuseppe la nascita di Gesù all’inizio del Vangelo. Quel Figlio che eccedeva ogni aspettativa di Giuseppe e di Maria, sarebbe stato il Dio con noi. Alla fine del Vangelo, mentre Gesù prenderà congedo dai suoi, ribadirà ancora una volta quel nome e quella modalità di essere: “Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
In che modo egli è con noi? Certo lo è mediante la sua grazia, lo è mediante la sua parola, lo è mediante i sacramenti. Tuttavia ha scelto un modo tanto insolito quanto dimesso da non essere immediatamente riconoscibile: la vulnerabilità dell’altro, il limite dell’altro. Sotto i panni dell’altrui fragilità Dio ha scelto di stabilire la sua dimora, lì ha scelto di piantare la sua tenda e lì ha chiesto di essere onorato, proprio come lo si riconosce e si adora “sotto i veli che il grano compose” (Inno eucaristico). Tutte le volte che ci saremmo misurati con la debolezza altrui, lì egli fissava l’appuntamento privilegiato da non disattendere, pena il fallimento del nostro stesso essere al mondo.
Corpus hominis, corpus Domini: sotto il velo della mia umanità la presenza del Signore. Quale grandezza!
“Caro salutis cardo”, ripeteva Tertulliano. La carne è il cardine della salvezza.
Rivestendo l’abito dimesso della fragilità e del bisogno, stabiliva che Dio non è da cercare ma da riconoscere e accogliere. Se Dio si è fatto uomo – e lo è per sempre, tanto che quella umanità se l’è portata con sé accanto al Padre – è sempre con l’uomo che i credenti devono accettare di misurarsi se vogliono misurarsi con Dio. A determinare la riuscita di un’esistenza non è, così, il rapporto con Dio ma quello con gli uomini: “Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21).
A nessuno sarà chiesto se ha creduto, ma se ha amato; non gli sarà chiesto se è salito al tempio, ma se ha aperto la sua casa al bisognoso; non gli sarà chiesto se ha offerto al Signore, ma se ha condiviso il pane con chi ne aveva necessità.
Quel giorno scopriremo che si possiede in modo definitivo solo ciò che avremo voluto condividere e quindi perdere immediatamente. Strana matematica quella di Dio: più ti privi più raccogli, più doni più ricevi. La chiusura, invece, l’indifferenza, il rifiuto non potranno non avere come esito se non il nulla dal momento che hanno già distrutto l’esistenza. Alla fine, infatti, nessun giudizio, solo una rivelazione di quello che ha animato il cuore dell’uomo e perciò una separazione, la stessa che è possibile effettuare tra pecore e capre.
Stando così le cose egli stabiliva che l’intera nostra esistenza, senza soluzione di continuità, sarebbe diventata la vera liturgia da offrire a Dio. C’è, forse, un istante della nostra giornata in cui qualcuno non fa appello implicitamente al nostro sguardo, alla nostra attenzione, alla nostra cura? Da chi ci tende una mano a chi ci mostra il suo viso triste, da chi è chiuso nel suo isolamento a chi non riesce a gustare un po’ di serenità, da chi registra la ferita dell’abbandono a chi quella dell’incomprensione, noi siamo posti continuamente di fronte al mistero santo di Dio che si manifesta nascondendosi, ossia facendo appello alla tua libertà e a quella presenza di sé impressa dentro di te mentre venivamo plasmati a sua immagine e somiglianza.
Nessuno resterà uno sconosciuto per noi. Quand’anche non sapessimo nulla della sua vita, abbiamo l’informazione che più conta: Cristo lo ha unito a sé al punto da identificarcisi.
Un desiderio, a volte lancinante a volte quasi celato, anima il cuore di ogni uomo, ne sia consapevole o meno, quello di incrociare il volto di Dio. “Quando vedrò il suo volto?” (Sal 41), ripete il salmista. Non potrebbe non essere così. Creati a immagine e somiglianza di quel volto, noi andiamo continuamente alla ricerca dei frammenti che ci aiutino a delinearlo, a riconoscerlo. E poiché non poche volte facciamo fatica ad accogliere il nostro volto e la nostra storia, finiamo per credere che il volto di Dio abbia nulla a che spartire con i volti che incrociamo lungo il nostro cammino. L’incontro con il Volto di Dio, invece, avviene già qui, già ora nell’incontro con i volti degli uomini.
“Il volto non è mai solo una mera superficie esteriore. Manifesta l’unità e la frantumazione presente in ogni individuo” (Marzano). Si riconosce così la signoria e la regalità di Dio solo quando ci si lascia interpellare dai volti dei fratelli.