Ho avuto la grazia, qualche tempo fa, di celebrare, in una delle case per anziani. Avevo davanti a me persone segnate dalla malattia e dall’età che, sebbene non sempre presenti a quello che stavamo facendo, come per un automatismo del cuore si riattivavano, invece, nel ripetere le risposte alle varie parti della Messa. Sono prete da oltre 26 anni e tuttavia, in quel contesto, mi sono risuonate in un modo del tutto nuovo le parole del prefazio di questa festa: “Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa”.
Dopo aver distribuito la comunione, mentre attendevo il ritorno del diacono che nel frattempo era andato in corsia a comunicare gli allettati, ho chiesto agli anziani: che cosa state chiedendo al Signore presente ora nel vostro cuore? “La forza”, mi hanno risposto come in coro. Non hanno chiesto la salute ma la forza. E dentro di me ripensavo al prefazio: “Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza”. Nella loro semplicità e pur provati, avevano colto appieno il senso di quello che celebriamo.
Proprio così. L’Eucaristia è il pane per gli infermi, cioè per chi traballa, per chi non riesce a stare in piedi: è il bastone che ci dà sicurezza nel nostro incedere vacillante. Si può di certo applicare all’Eucaristia quello che ripetiamo nella sequenza di Pentecoste: “senza la tua forza nulla è nell’uomo”.
Con ragione San Tommaso d’Aquino scriverà che l’Eucaristia è il “mirabile documento dell’immenso amore di Cristo per gli uomini”. Conosciamo tutti la valenza che ha per noi un documento: è ciò che attesta una identità, rivela una appartenenza, dichiara una proprietà, esprime una presa di posizione, stabilisce qualcosa da custodire. Anche Dio ha avuto bisogno di un documento, ossia di un segno tangibile che ricordasse all’uomo di sempre in che modo egli si è coinvolto con ciascuno di noi fino alla fine del tempo e oltre.
Si tratta di un documento nuovo: l’antica alleanza è passata, Dio ha compiuto una cosa nuova mediante il corpo di carne del Figlio suo. Non si è mai visto qualcosa di simile che la divinità, cioè, si legasse ad un popolo non per interposta persona ma mediante lo stesso Figlio di Dio.
Si tratta poi di un documento inedito: il rapporto con l’uomo è stato sancito non più con il sangue di agnelli o di tori come nell’antica alleanza, ma con l’inchiostro del Sangue di Cristo. L’offerta resta sempre unilaterale e non viene meno se noi non siamo in grado di riconoscerla e di accoglierla.
Si tratta ancora di un vero e proprio documento magisteriale nel senso più vero del termine: il Signore Gesù, unico Maestro, indica qual è la via per accedere alla pienezza della vita, ossia diventare colui del quale ci si nutre, far scorrere in noi i suoi stessi sentimenti.
Si tratta, infine, di un documento prezioso, se è vero, come è vero, che esso perpetua nel tempo la presenza stessa del Signore tra noi.
Se così stanno le cose non possiamo che accostarci a questo Sacramento “piegando le ginocchia in pensosa adorazione”. Il pane e il vino nei quali adoriamo presente il Signore, sono come i due spiccioli della vedova del vangelo che aveva donato tutto quanto aveva per vivere. Dio non ha tenuto niente per sé, non ha giocato al risparmio quando ha avuto a che fare con l’uomo perché l’amore, per essere tale, non può non essere pieno, totale, completo.
Comprendiamo perché papa Benedetto XVI ebbe ad affermare che “quanto è più viva la fede eucaristica nel popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale”. È, infatti, il dinamismo proprio dell’Eucaristia che plasma una comunità cristiana che continuamente si lascia trasformare proprio come il pane e il vino che diventano il corpo e sangue del Signore. Che cosa sarebbero il pane e il vino senza l’azione dello Spirito Santo? Che cosa saremmo noi senza il nutrimento del pane di vita?
È sant’Agostino a farci comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando narra  di una visione nella quale Gesù gli disse: “Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me”.