Chi l’avrebbe mai detto? Dalle ceneri del Battista messo a tacere per il capriccio di una donna spietata e un uomo come Erode incapace di essere se stesso fino in fondo, risorge qualcosa la cui corsa continua da oltre duemila anni tanto da aver raggiunto anche noi che siamo qui a riascoltare l’antico annuncio. Le sconfitte, di solito fanno ripiegare in ritirata sollecitando a piegarsi al dato di realtà. Non così per Dio: proprio quella che sembra essere una solenne smentita è l’arma segreta del vero vincitore. Così ora, così alla fine, così nella storia di ciascuno di noi.
Quali possibilità di futuro avevano quei quattro la cui esistenza non conosceva altri orizzonti che la riva di quel lago dove ogni notte continuavano a gettare le loro reti? E invece…
C’era forse qualche futuro diverso, per un uomo come Zaccheo, se non quello di continuare a frodare? E invece…
E la Samaritana? Cosa poteva attendersi se non la stanca ripetizione di gesti e il mendicare affetti che non riuscivano a saziare la sua sete di amore vero? E invece…
Secondo i pensieri di Dio tanto dissimili dai nostri, proprio ciò che sembra coincidere con la parola ‘fine’, se riconosciuto e accolto alla luce dell’opera di Dio, può diventare l’inizio di una pagina di rara bellezza.
Solo il Vangelo, solo Dio riesce a far sorgere germogli di speranza là dove tutto sembrerebbe irrimediabilmente compromesso: “da allora Gesù cominciò a predicare”. Penso a tutte le volte in cui, come in quella circostanza, Dio ricomincia con tenacia, pervicacemente.
Se solo riuscissimo a guardare con questo sguardo che ci viene dalla fede le tante pagine che pure vorrebbero convincerci che è più saggio ripiegare! Non potrebbe essere diversamente: dove può rifulgere la luce se non nel luogo e nell’esperienza della tenebra? Dove può essere recata la salvezza se non là dove qualcuno è sull’orlo del baratro? Dove può essere attestata la verità se non là dove si patisce la menzogna? Dove può essere recata la lieta notizia se non dove si registra una cronaca di morte? Dove manifestare amore se non dove sono moneta corrente diffidenza, sospetto, divisione?
Ha ragione chi ha scritto: “Chi siamo e a che cosa crediamo viene fuori davanti al disagio, nell’ora arrischiata” (Pavese).
Saranno sempre i momenti sfavorevoli e i posti più impensati quelli da cui Dio comincia: per far questo occorrono uomini che come Dio, a fronte di un vento cattivo che sibila: è inutile, è inutile, vanno, per una testarda speranza.
Dovevano essere così quei quattro di Cafarnao: non eroi ma semplicemente uomini. Non è forse vero che è nei giorni d’inferno che si riconoscono gli uomini? C’è qualcosa di divino o di “pienamente umano nell’uomo che crede alla vita di un altro uomo”. Il guaio è che noi ci accontentiamo di molto meno. Ai quattro dei vangelo, logori dalla stenuante fatica della pesca, arde qualcosa nel cuore tanto da non perdere un minuto in più per prendere congedo dalle reti e dal padre.
Mi sono sempre chiesto che cosa abbia potuto far sì che in un battibaleno quei quattro e dopo di loro tanti altri potessero mollare tutto e avventurarsi lungo un sentiero ancora tutto da esplorare. Penso alla mia vicenda, a cosa ha fatto scattare questa molla. Diverse le circostanze, vero, ma identico il meccanismo: aver scoperto uno che ti dice: tu mi stai a cuore! Ma non è forse ciò che fa scattare la molla tra un ragazzo e una ragazza che quando ti accade altro che farfalle allo stomaco? E che cos’è che dovranno ripetere a chi incontreranno se non questo?
Cercavano la felicità in quello stanco ripetere della pesca. Scoprirono che la felicità non è tornare a casa con la barca piena di pesci ma incontrare qualcuno a cui sai di interessare. Che te ne fai dello stomaco pieno quando il cuore patisce abbandoni?
Credo non sia casuale la scelta di iniziare con quattro che s’intendono di pesca. Mestiere difficile, fatto di tanta pazienza, di tanta attesa, di tanta attenzione, di capacità a dimenarsi quando il vento è contrario e la barca rischia di essere capovolta.
“Pescatori di uomini”: mai come in questi giorni un appello più vero. Che cos’è la vita, la mia, la tua, se non un prepararsi “a questi incontri in cui sappiamo chi siamo, cosa crediamo e cosa dobbiamo fare: dare la vita” (D’Avenia)? E per far questo occorre una “irrazionale consapevolezza”: quella che ti spinge a credere che “ogni vita vale tutti i nostri sforzi”.