Un unico grande desiderio attraversa il cuore di Dio: ristabilire la comunione con l’uomo che ha deciso, invece, di infrangerla per un capriccio tanto drammatico perché incapace di garantire ciò per cui si è scelto di rescindere il rapporto con Dio. Ma Dio stesso aveva promesso sin dall’antichità: “Nessuno ti chiamerà più abbandonata… tu sarai chiamata mio compiacimento, la tua terra sposata”. La Scrittura è tutta attraversata dal linguaggio amoroso, quello che conosce gli accenti dell’intimità e i tratti della gelosia, l’esperienza della sponsalità e l’invito all’abbandono fiducioso. Attraverso i suoi amici, Dio non è mai venuto meno al progetto di gioire per questa nostra umanità: “Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te”. Molte volte e in diversi modi, attraverso i profeti, egli ha offerto la sua alleanza, ma è solo in Gesù Cristo che la promessa diventa realtà.

La nostra è come la vicenda di una sposa chiamata a celebrare le nozze non con un uomo qualsiasi e neppure con chissà quale principe della più fantasiosa delle fiabe. Le mie nozze sono con lo stesso Figlio di Dio, Dio egli stesso. Tale e tanto è il suo amore per me che si è spinto persino ad assumere la mia stessa condizione. Si dice che l’amore o trova o rende simili. E Dio, in Gesù, ha voluto rendersi in tutto simile a noi, eccetto il peccato, diventando addirittura geloso per me: “Prendete me, ma loro lasciateli stare”, ripeterà alle guardie venute ad arrestarlo nella notte delle consegne. Sebbene più e più volte io non sia stato in grado di ripagarlo se non con l’infedeltà, egli non cessa di scegliere me: “al re piacerà la tua bellezza”, così ripete il Sal 44,12. Egli ne è fortemente convinto: qualunque cosa accada, non cesserò di piacergli.

La vivacità della sua passione e la concretezza del suo amore troveranno la celebrazione più vera nella croce, quando, pur di non venir meno alla sua offerta di alleanza, preferirà morire piuttosto che rinnegarmi e tradirmi.

Il Battista aveva annunciato Gesù come lo sposo e aveva pensato se stesso come l’amico dello sposo. A Cana, perciò, più che la festa di nozze di due giovani sposi, si celebra finalmente quella tra Dio e l’umanità. E questo per l’intervento di Maria che con la sua capacità di lettura presenta al Figlio il dramma in cui versa l’umanità: “non hanno vino”.

Non poche volte non ci manca il necessario, ci manca ciò che dà senso a quello che siamo e a quello che abbiamo: ci manca la gioia, ci manca la scioltezza di quando, alzando un po’ il gomito, forse, abbiamo bevuto un bicchiere in più di vino e ci siamo abbandonati alla verità di quello che di più vero sentiamo, pensiamo. In vino veritas, appunto! Senza il vino non è possibile celebrare una festa che sia tale. Questa è la nostra condizione: abbiamo organizzato la festa ma manca il motivo per celebrarla. È Maria che con il suo intervento supplice affretta l’ora in cui finalmente il Figlio manifesterà fino a che punto siamo amati e fino a che punto egli è disposto a mettersi in gioco con noi: nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia.

Gesù non vi prende parte da invitato ma da sposo introdotto da Maria sua madre che esprime tutta la sua fiducia mentre consiglia ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!”. È uno sposo di cui ci si può fidare perché degno di fede.

Per celebrare le sue nozze con la nostra umanità, lo Sposo necessita di ciò di cui disponiamo: la nostra acqua. È necessario mettergliela a disposizione perché, con la forza della sua parola e la potenza della nostra fede, essa venga trasformata nel vino che rallegra il cuore dell’uomo.

“L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Così prega il sacerdote durante l’offertorio. Sono le parole che esprimono proprio ciò di cui Cana è stata un segno e un anticipo.

Nella vita di ognuno di noi è presente il Signore proprio come quel giorno a Cana di Galilea ma talvolta, egli è relegato ai margini e noi ci trasciniamo senza alcun entusiasmo, senza ebbrezza, senza più motivazioni. È necessario chiamarlo e presentargli l’irremovibilità delle nostre giare vuote.