In questi giorni in cui si fa un gran parlare di papa Francesco, trovo si corra il rischio – prendendo a prestito il titolo di un famoso brano dei Rolling Stones – di fermarsi al “The singer but not the song” (il cantante, non la canzone). Se ciascuno di noi accogliesse anche solo una parola …

In questi giorni in cui si fa un gran parlare di papa Francesco, trovo si corra il rischio – prendendo a prestito il titolo di un famoso brano dei Rolling Stones – di fermarsi al “The singer but not the song” (il cantante, non la canzone). Se ciascuno di noi accogliesse anche solo una parola del magistero delle parole e dei gesti di Papa Francesco (pensiamo, ad esempio, al suo ultimo appello a “disarmare le parole per disarmare le menti e disarmare la Terra”), avremmo trovato il modo migliore per onorare la memoria e accogliere il testimone di chi si è fatto profeta inascoltato della pace che tutti desideriamo. O pensiamo all’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” riposta nel cassetto in men che non si creda. Eppure, Francesco ci esortava a “tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo” recuperando il criterio apostolico della gioia. E, invece, abbiamo preferito fermarci agli slogan facili: “chiesa in uscita”, “il tempo è superiore allo spazio”, “la realtà è superiore all’idea”, “pastori con l’odore delle pecore” o a quello più recente che sembra essere il sale per ogni minestra, “stile sinodale”.

E che noi ci fermiamo al “the singer” ne è un esempio anche il fatto che, nel parlare comune, l’accento cada sull’incognita circa il successore “di Francesco”, dimenticando che, mai come in questo caso, nessuno succede ad un altro. Ogni papa, infatti, è eletto per essere il successore dell’Apostolo Pietro nel delicato ministero di confermare i fratelli nella fede quale Vescovo di Roma. Prima che onorare un’agenda lasciata dal suo predecessore, Pietro è chiamato a onorarne una ben più impegnativa, quella che scaturisce dalla sua fede in Cristo Signore.

Vale per Francesco, come per Benedetto e tutti gli altri prima di loro, quello che San Paolo afferma quando, quasi estasiato mentre scrive ai Romani, si lascia andare a queste parole: “Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!”. Davvero “chi mai ha potuto conoscere il suo pensiero?”. Ne è un esempio proprio ciò che accade a Cesarea di Filippo quando il Cristo di Dio sceglie di costruire la sua comunità sulla fede di un uomo sincero e generoso. Ci saremmo aspettati che il Signore facesse leva sulla sapienza di un dotto o sul saper fare di un uomo avveduto, sull’intraprendenza di un uomo di affari o sulla forza di un uomo potente. E, invece, nulla di tutto ciò. La Chiesa viene edificata sulla fiducia di un uomo esposto a tanti limiti e difficoltà, un uomo che vorrebbe seguire Cristo fino in fondo persino nella morte, ma non tarda a rinnegarlo; un uomo che si pente e tradisce; un uomo che sente il desiderio di buttarsi a capofitto nelle cose di Dio ma avverte anche tutta l’attrattiva dell’autopreservarsi. Quanto lo sento vicino quest’uomo! Quanto mi sento anch’io come Pietro! Un vulnus (non dimentichiamolo) nell’”in principio” della comunità cristiana, ma è proprio da questo vulnus che passa la luce, la grazia, la vita.
La sua è una roccia che non tarderà a sfaldarsi proprio nel momento in cui più avrebbe dovuto resistere: infatti, nel momento della prova viene meno, nel momento della cattiveria Pietro diventa codardo, nel momento della solitudine e dell’abbandono si lascia vincere dalla paura di restare coinvolto a caro prezzo. Eppure aveva fatto la più bella professione di fede!
Ma che cosa aveva visto il Signore di tanto interessante in un uomo come Pietro?
La fede che si lascia ammaestrare continuamente da Dio e che non esita a esprimere ciò che porta nel cuore.
La fede che si lascia mutare sguardi e giudizi. Fino a questo momento, Pietro aveva altri criteri di riferimento: il suo mondo affettivo, il suo mestiere, la sua religiosità. Con la sua risposta egli afferma che la persona di Gesù e la fede in lui, segnano un nuovo modo di guardare le cose. Proprio come quando ci si innamora: nulla è più come prima. E sarà proprio quella fede a far la differenza rispetto a Giuda nel giorno in cui, dopo aver rinnegato tre volte il Maestro, si abbandonerà a lacrime di purificazione e di pentimento.
Gesù riconosce in Pietro la fede che accetta di essere plasmata non da successi ma da sconfitte rilette come occasione per una più profonda verità su di sé. Non una fede da brandire ma quella che arriva a riconoscere con umiltà: “Signore, tu sai tutto”. Non la fede del fondamentalista ma quella del peccatore che dice: “allontanati da me”. Era stato facile quel giorno a Cesarea esclamare: “Tu sei il Cristo”. Tuttavia, la fede di Pietro avrà bisogno di essere ammaestrata circa il fatto che l’immagine di Cristo non è qualcosa di statico e fissato una volta per tutte. È facile, sull’onda di un entusiasmo dire “Tu sei il Cristo”; non è lo stesso quando hai cominciato a sentire sulla tua pelle la fatica di restare fedele al Signore che sembra quasi si diverta a smentire le tue aspettative; non lo sarà senz’altro più avanti quando la terra sembrerà venir meno sotto i tuoi piedi.
Viene per tutti l’ora di Cesarea, il momento cioè, in cui ci è chiesto di portare alla luce quanto abbiamo lasciato sedimentare nel profondo del nostro cuore. Viene per tutti l’ora in cui siamo sollecitati a dichiararci, sapendo che dire chi è lui non è senza conseguenze circa il modo di intendere chi siamo noi.
Forse, con un po’ di umiltà, dovremmo riconoscere che siamo poveri di una vera conoscenza di Cristo, siamo superficiali circa l’esperienza della fede, siamo incostanti nelle nostre scelte.
“Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!”.
Quale motivo avremmo noi per meritare la fiducia di Dio il quale continua a mettere nelle nostre mani quanto ha di più prezioso: la parola, i sacramenti, la sua amicizia? Eppure i nostri peccati gli sono noti come non gli sfuggono tanti nostri gesti maldestri. A lui però interessa la fiducia che abbiamo in lui e l’amore che a lui ci lega. Tanto basta.
Per questo amo il Signore ed amo la Chiesa: perché egli non cessa di affidarsi a Pietro, a me, a te, a uomini che non sono come pietre squadrate, ma semplicemente uomini, con tutto quello che questo vuol dire. Poco o tanto siamo tutti pietre raccolte di qua e di là, pietre di scarto che il Signore ha scelto per costruire la sua comunità. Non ha fondato la Chiesa sull’integralismo dei puri ma sull’umile consapevolezza di chi sa di non essere migliore di nessun altro. È a Pietro che verrà chiesto di confermare i fratelli, una volta superata la prova. E sappiamo che in quella prova Pietro cadde.
Quanta gente anche oggi è affascinata da linguaggi misteriosi, da parole arcane, da esperienze mistiche e si pone alla ricerca di ciò che suscita stupore e meraviglia. Non così il Signore: egli continua a scegliere Pietro, continua a scegliere me, continua a scegliere te. Uomini e donne dalla fede sincera, mista a tante fragilità e debolezze, unico antidoto per non diventare uomini e donne superbi, sempre bisognosi di essere generati dall’abbraccio della misericordia e di essere confermati nella loro fede.