https://www.youtube.com/watch?v=K81EKsAia0U Una celebrazione come questa chiede a quanti siamo qui presenti di scegliere se viverla fissati a un anno fa, bloccati nel ricordo nostalgico della scomparsa improvvisa di don Antonio riandando con la mente alla cronaca degli ultimi istanti o se viverla un anno dopo, provando, cioè, a tenere insieme quello che egli ha significato …
Una celebrazione come questa chiede a quanti siamo qui presenti di scegliere se viverla fissati a un anno fa, bloccati nel ricordo nostalgico della scomparsa improvvisa di don Antonio riandando con la mente alla cronaca degli ultimi istanti o se viverla un anno dopo, provando, cioè, a tenere insieme quello che egli ha significato per ciascuno di noi.
Questi mesi sono stati davvero motivo per mettere a dimora quanto insieme a don Antonio abbiamo condiviso e vissuto e così, più che registrare il vuoto da lui lasciato, abbiamo riconosciuto le innumerevoli tracce della sua presenza in mezzo a noi.
Più di una volta, insieme a don Paolo, ci siamo ritrovati a confessare: citiamo più Antonio che un padre della Chiesa, a voler esprimere quello che egli ha significato non solo in ordine al legame fraterno ma soprattutto per gli insegnamenti trasmessi nel frequente discorrere attorno a un buon piatto o mentre si viaggiava insieme.
Avere a che fare con lui, infatti, era sempre arricchente sia in ordine alla comprensione del mistero di Cristo e sia in ordine alla stessa appartenenza alla Chiesa. Per l’assiduità dei suoi studi e la passione della sua ricerca, incontrarlo significava tornartene con l’aver appreso qualcosa di nuovo o con il rivedere il tuo stesso pensiero rispetto a una situazione o un evento.
Che cos’è che ha caratterizzato la figura e il ministero di don Antonio? La sua bontà che non gli permetteva di pensar male di alcuno e, perciò, non poteva non evidenziare il bene? La sua simpatia che era come una sorta di lasciapassare per intrattenersi con lui? La sua amabile scherzosità che gli permetteva di leggere momenti e situazioni ricorrendo a battute simpatiche? La sua cultura maturata nella lunga frequentazione degli studi classici e nel continuo dedicarsi alla lettura che era il suo passatempo quotidiano?
Certo, questi sono tanti degli aspetti che hanno caratterizzato don Antonio e di cui tutti possiamo dare testimonianza. Tuttavia, non penso di essere lontano dal vero se oso affermare che il tratto peculiare di Antonio sia stata la fede retta vissuta fino in fondo da uomo sincero e generoso.
Quando lo aveva chiamato alla sua sequela, il Signore aveva intravisto in lui la fede che si lascia ammaestrare continuamente da Dio e che, in ogni circostanza, non teme di dar ragione della speranza che anima il suo cuore soprattutto quando grande sarebbe la tentazione di battere in ritirata. Il Signore aveva intravisto in lui la fede che si lascia mutare sguardi e giudizi tanto da confessare con san Paolo: “noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16).
Il pensiero di Cristo è il modo in cui don Antonio ha guardato ogni situazione della vita: è lo stare davanti al mondo senza disorientarsi anche a costo di non essere capito e condiviso dai più se non addirittura irriso.
Il pensiero di Cristo ha a che fare con la vera sapienza che non è qualcosa di intellettualistico e concettoso, anzitutto, ma si manifesta col dare il peso dovuto ad ogni cosa nulla assolutizzando e nulla relativizzando, sempre nella giusta considerazione di sé.
Il pensiero di Cristo è frutto dello Spirito di Dio in noi: esso ha modo di maturare e svilupparsi quando trova un cuore libero come quello di don Antonio il quale, posto di fronte alla scelta se rimanere ancorato a quel pensiero o rincorrere l’ultimo ritrovato di una prassi pastorale che, talvolta, perde di mira l’essenziale, non ha avuto paura di fare un passo indietro pur di non venire a patti con ciò che, secondo lui, sembrava quasi un tradire ciò che un giorno aveva professato convintamente.
L’onestà intellettuale di Antonio, prima che essere frutto della sua preparazione culturale, aveva la sua scaturigine nel suo essere radicato in Cristo tanto da interrogarsi senza sconti su ogni cosa, provando a comprendere ciò che c’è alla base di certi avvenimenti della vita e ciò che anima i segreti del cuore. Era il pensiero di Cristo a farlo stare a contatto con le gioie e le fatiche della vita senza perdere di vista ciò che conta davvero. Era il pensiero di Cristo a orientare le scelte da compiere, le parole da pronunciare senza mai trascendere o scadere nel banale o nei luoghi comuni, gli atteggiamenti da fare suoi.
Sapeva bene, don Antonio, che quello conosciuto come pensiero comune o opinione pubblica (la stessa di cui ci ha narrato il vangelo) risente di non pochi condizionamenti, è assai fluttuante a seconda delle circostanze e degli stati d’animo assai mutevoli.
Sapeva bene, don Antonio, che non sempre il disporre della più totale libertà di scelta è la forma più alta della libertà: infatti, quando hai scelto di amare Dio o qualcuno in suo nome e come lui, è la tua stessa libertà che considera questo un dovere da assumere e lo trasforma nell’unica regola che poi la determina, per sempre e di volta in volta.
Ci è di conforto il brano evangelico in cui Gesù riconosce in Pietro la fede che accetta di essere plasmata non dai risultati raggiunti ma dai processi innescati nel proprio cuore persino da ciò che non aveva messo in conto.
Non una fede da brandire ma quella che arriva a riconoscere con umiltà: “Signore, tu sai tutto”.
Non la fede del fondamentalista ma quella del peccatore che dice: “allontanati da me”. Era stato facile quel giorno a Cesarea esclamare: “Tu sei il Cristo”. Tuttavia, la fede di Pietro avrà bisogno di essere ammaestrata circa il fatto che l’immagine di Cristo, il mistero di Cristo è sempre di nuovo da scoprire e da accogliere.
Se può esser facile, sull’onda di un entusiasmo, dire a vent’anni: “Tu sei il Cristo”; non è lo stesso a quaranta, quando hai cominciato a sentire sulla tua pelle la fatica del restare fedele al Signore che sembra quasi si diverta a smentire le tue aspettative; non lo sarà senz’altro più avanti negli anni o in un momento in cui la terra sembra venir meno sotto i propri piedi.
Viene per tutti l’ora di Cesarea, il momento cioè, in cui ci è chiesto di portare alla luce quanto abbiamo lasciato sedimentare nel profondo del nostro cuore. Viene per tutti l’ora in cui siamo sollecitati a dichiararci, sapendo che dire chi è lui non è senza conseguenze circa il modo di intendere chi siamo noi.
In questi giorni, mi è capitato di imbattermi in una affermazione del Presidente della Pontificia Accademia di Latinità, il prof. Dionigi, il quale scrive così: “vivere non significa passare attraverso gli anni, ma attraverso i pensieri: una vita lunga non è una vita che accumula anni, ma pensieri”. E quella di Antonio, seppur breve secondo il nostro modo di vedere le cose, è stata senz’altro lunga per i pensieri che ha accumulato e alimentato ma, per aver fatto suo il pensiero di Cristo, è una vita che ha già il carattere dell’eternità.