https://www.youtube.com/watch?v=b4OXoSJe1tE “Fatti” di speranza è una nuova sezione dei miei commenti. Il titolo è un rimando sia a “fatti” concreti sia a uomini e donne “fatti” (nel senso di modellati, impastati) di speranza. Così, accogliendo l’invito a farci “pellegrini di speranza”, ho pensato di condividere alcuni ricordi dei momenti in cui sono stato chiamato ad …

“Fatti” di speranza è una nuova sezione dei miei commenti. Il titolo è un rimando sia a “fatti” concreti sia a uomini e donne “fatti” (nel senso di modellati, impastati) di speranza. Così, accogliendo l’invito a farci “pellegrini di speranza”, ho pensato di condividere alcuni ricordi dei momenti in cui sono stato chiamato ad accompagnare il passaggio dalla vita alla morte di tanti fratelli e sorelle, anziani e giovani, che in questi oltre trent’anni di ministero sacerdotale ho avuto modo di incontrare. Quelli qui riportati sono i commenti tenuti durante la liturgia di commiato in modo da alimentare la speranza di quanti attraversano un tempo di fatica e, talvolta, di disperazione. Alcuni nomi sono reali, altri sono di fantasia ma ciò che racconto è quello che ho avuto modo di toccare con mano personalmente.

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Si stava per entrare nei primi Vespri della solennità di S. Giovanni Battista quando Maria ha concluso la sua esistenza terrena. Non poteva accadere in un giorno diverso il suo transito da questo mondo al Padre: in qualche modo lei è stata davvero figura di donna capace di preparare le vie al Signore, proprio come il precursore S. Giovanni.

Pensando a lei non ho potuto non pensare a due figure di vegliardi che il vangelo di Lc ricorda proprio all’inizio della vicenda terrena del Signore Gesù: Simeone e Anna. Come loro, Maria è stata donna appassionata e innamorata del suo Signore. Una di quelle figure che a suo modo ha cercato prima il regno di Dio e la sua giustizia, sapendo che il resto le sarebbe stato dato in aggiunta. Il suo desiderio più grande far conoscere il Signore.

Avanti negli anni – quasi novanta – Maria è stata una donna viva, non rassegnata. Solo le gambe le impedivano di compiere ciò che più di ogni altra cosa le stava a cuore: poter venire in chiesa e partecipare all’Eucaristia. Il rammarico più grande trascorrere la domenica senza potersi accostare alla comunione e allora aveva imparato a fare di necessità virtù, assistendo alla celebrazione trasmessa in tv. Ma non era la stessa cosa, come tante volte mi confidava. Grande sollievo e conforto, infatti, era per lei essere accompagnata dai suoi al Monte (a Genova) dove finalmente poteva stare più vicino al Signore e alla Madre sua. Quelle ore strappate ad un ritmo ordinario fatto di lontananza dalla Chiesa riscattavano il resto dei suoi giorni che lei viveva nella consapevolezza di essere sempre con il Signore. Era come un riprendere respiro, alimento per poi rituffarsi nel succedersi di giorni che non conoscevano altra interruzione se non il rapporto con la sua famiglia. Come non pensare al mese che ogni anno amava trascorrere alla Verna quasi per immergersi nella stessa esperienza di grazia che lì aveva vissuto San Francesco?

È stata la fede a sostenere i giorni e i passi di Maria. Una fede umile, povera, quella di chi aveva conosciuto sulla sua pelle la fedeltà di Dio alle sue promesse, durante l’esperienza del dopoguerra che l’aveva vista lasciare la sua terra di origine come durante l’esperienza della vedovanza e infine della malattia. E nondimeno fede tenace, vera, fatta della consapevolezza che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Forse fatta di modi di esprimerla che a noi parevano un po’ desueti, ma lei ci credeva e perciò rimaneva fedele a quei modi. Donna tutta d’un pezzo. Intransigente con sé e con gli altri.

Come non ricordarla nelle sue sortite domenicali proprio accanto all’ambone quasi raccolta, prima ancora che al suo bastone, attorno al suo rosario? Questo posto un po’ defilato credo rappresentasse tanto della sua persona. Non una che amava mettersi in mostra. Come il Battista credo avesse fatto sua l’espressione propria del precursore: lui deve crescere, io diminuire. Non conosceva tregua l’amore per il Signore. A volte anche a costo di rimandare occupazioni casalinghe che avrebbe potuto ottemperare in altri momenti.

Davvero non si allontanava mai dal tempio, proprio come la profetessa Anna di cui ci ha narrato il vangelo. Nulla la separava dall’amore di Dio in Cristo Gesù. Neanche la malattia o l’avanzare degli anni. I suoi occhi non si erano mai spenti attendendo la visita del suo Signore. La immagino ora ripetere le parole del vecchio Simeone: ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi han visto la tua salvezza…

Donna attenta a chi il Signore le aveva posto lungo il cammino: non c’era festa che passasse senza la sua telefonata di auguri, da Natale a Pasqua alla Pentecoste, al Corpus Domini ai nostri giorni onomastici. In genere li anticipava alla vigilia quasi a voler dire il suo esserci in tutto lo scorrere della circostanza.

Le piaceva cantare. Tante volte intonava i canti al termine del Rosario. Tante altre intonava qualche melodia mariana persino a telefono quando magari telefonava per fare gli auguri all’uno o all’altro. Il canto era per lei un modo di esprimere ciò che portava nel cuore. Un cuore traboccante gratitudine e riconoscenza al Signore della vita e della misericordia.

La immaginiamo così, ora che la sua avventura terrena si è conclusa: ammessa a far parte del coro degli angeli e dei santi per gioire di Colui che nella vita ha adorato sopra ogni altra cosa.