https://www.youtube.com/watch?v=49c03_AsR7c “Fatti” di speranza è una nuova sezione dei miei commenti. Il titolo è un rimando sia a “fatti” concreti sia a uomini e donne “fatti” (nel senso di modellati, impastati) di speranza. Così, accogliendo l’invito a farci “pellegrini di speranza”, ho pensato di condividere alcuni ricordi dei momenti in cui sono stato chiamato ad …
“Fatti” di speranza è una nuova sezione dei miei commenti. Il titolo è un rimando sia a “fatti” concreti sia a uomini e donne “fatti” (nel senso di modellati, impastati) di speranza. Così, accogliendo l’invito a farci “pellegrini di speranza”, ho pensato di condividere alcuni ricordi dei momenti in cui sono stato chiamato ad accompagnare il passaggio dalla vita alla morte di tanti fratelli e sorelle, anziani e giovani, che in questi oltre trent’anni di ministero sacerdotale ho avuto modo di incontrare. Quelli qui riportati sono i commenti tenuti durante la liturgia di commiato in modo da alimentare la speranza di quanti attraversano un tempo di fatica e, talvolta, di disperazione. Alcuni nomi sono reali, altri sono di fantasia ma ciò che racconto è quello che ho avuto modo di toccare con mano personalmente.
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Avevo avuto modo di conoscere Gianni da poco, appena giunto in parrocchia. Sapevo dalla figlia che suo padre era gravemente malato già da tempo. Un bel giorno ero in confessionale quando mi son visto entrare un uomo che prima di chiedermi di ascoltarne la confessione, me ne aveva dato la motivazione: “Padre, vorrei confessarmi: ormai mi resta ben poco. Ho un brutto male. Perciò vorrei prepararmi a morire bene”. Lo ricordo come ora seduto davanti a me. La mia mente fu come attraversata da riflessioni sulla consapevolezza, anzitutto, prima ancora che sulla morte.
Mi chiedevo cosa potesse significare per un uomo sapere che la propria ora era imminente. Ne ascoltai la confessione riandando sui miei pensieri. Dopo non molto, chiamato dalla figlia, ebbi modo di incontrarlo sul letto del dolore. Arrivato a casa per il sacramento dell’Unzione degli infermi, Gianni, pur debilitato, vi aveva partecipato con spirito di preghiera e di affidamento.
Pensavo all’illusione nella quale ci capita spesso di vivere: che cioè il silenzio sulla morte accresca la gioia e l’amore. Gianni sentiva di aver raggiunto il finecorsa ma non lo stava vivendo con rammarico né con maledizione. Era andato oltre quella illusione e perciò aveva avvertito il bisogno di parlarne. La realtà, infatti, ogni realtà (compresa la morte) non la si esorcizza con il silenzio ma con la disponibilità ad assumerla anche nel suo versante di problematicità. La morte fa parte della vita: ignorarla non è saggezza ma cecità.
In quei giorni l’ho incontrato più volte: desiderava rivedermi. E, in almeno due casi, volle di nuovo che ne ascoltassi la confessione. Aveva voluto gli portassi l’Eucaristia. Ricordo ancora quando, vedendomi arrivare in camera sua, sembrava raccogliere tutte le forze per potersi tirare su e darmi degna accoglienza. Il suo rammarico più grande non aver potuto fare del bene come avrebbe voluto. E di nuovo i miei pensieri ritornavano sulla consapevolezza al punto che quando appresi della sua dipartita, subito mi venne in mente il brano che forse più di ogni altro parla della consapevolezza di Gesù: quello della lavanda dei piedi, risuonato anche in occasione delle esequie.
Sapendo… per ben tre volte l’evangelista Gv usa questo verbo volendo evidenziare la coscienza di Gesù: quello che stava vivendo, Gesù lo stava vivendo con piena consapevolezza, quella della sua ora e quella di passare da questo mondo al Padre. In un contesto così solenne, l’intera vita di Gesù è riassunta con le parole: “avendo amato i suoi”.
La consapevolezza di Gianni insieme a tutto quello che ha significato per la sua famiglia e per i suoi amici credo resti un po’ la consegna testamentaria per tutti noi. Non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti ma attenderli e prepararli. Anche se non è scontato entrarvi in pace. Persino Gesù vivrà l’angoscia dell’ora che stava per incombere su di lui. Nei suoi ultimi giorni, posso attestare che Gianni aveva fatto sue le parole del vecchio Simeone: Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace…
Gianni, come Gesù, era consapevole che era giunta la sua ora. L’ora, come per Gesù, non è tanto il sapere che prima o poi tutto finisce ma pensare che la nostra vita non è fatta semplicemente di cose ripetitive quanto di momenti chiave che permettono all’uomo di esprimere ciò che davvero porta nel cuore, ciò che lo ha abitato e ciò che lo ha animato.
Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo. Così si conclude la vicenda di Gesù che è stata un’esperienza di amore. Queste parole sono la sintesi di tutto il vangelo: che bello poter rileggere la vita di ognuno di noi come una esperienza di amore caratterizzata dal dono! Credo siano le parole con cui si è chiusa la pagina terrena di Gianni. Una delle volte in cui gli avevo fatto visita mi era stato raccontato dell’eccesso di verdura che egli piantava e la motivazione era: tanto a qualcuno sarebbe andata. Qualcuno ne avrebbe ricavato giovamento.
La propria vita come dono d’amore perché altri siano nella gioia e nell’abbondanza: ecco il testamento di Gianni.