Noi speravamo…: per più di una settimana abbiamo camminato con la speranza, quella di sapere finalmente, magari da un sms – quelli che in questi giorni in tanti ci siamo scambiati per tenerci aggiornati sull’evoluzione della situazione medica – che Francesco avrebbe potuto farcela. Abbiamo sperato, abbiamo pregato, abbiamo gridato. E poi? E poi? Poi nessuna risposta alla nostra speranza. Tutto si è infranto: desideri, sogni, speranze, preghiere. Abbiamo sperato invano? E così alla preghiera e alla speranza è succeduta la rabbia, – perché? – lo smarrimento, la protesta, quella che si leggeva palese negli occhi e sul volto dei tanti ragazzi incontrati all’obitorio per il rosario. Tutto sa di violenza nella morte in genere, ma nella morte prematura di un ragazzo, sa di furto, di sopruso, di ingiustizia, di crudeltà.
Tornano nel cuore e sulle labbra le parole del salmo fatte sue persino da Gesù: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Come tenere insieme la nostra fede in un Dio che sappiamo essere il Dio della vita, a cui stanno a cuore persino i capelli del nostro capo e il constatare che una vita viene spezzata incidentalmente nel fiore degli anni? Lo confessiamo: non riusciamo a tenere insieme questi elementi e patiamo l’imbarazzo. Siamo spaesati, disorientati.
Siamo autorizzati a farlo: dire a Dio la nostra angoscia senza giri di parole, senza la paura di essere allontanati da lui, senza temere di offenderlo con i nostri sfoghi. Anche Gesù, nel colmo della sofferenza, ha messo tra lui e il Padre il macigno di questo interrogativo: perché? Senza però che questo impedisse il rapporto con lui.
Questa ribellione interiore che accomuna tutti non va rimossa. Essa è il frutto e il volto dell’amore che a vario titolo lega ciascuno di noi a Francesco e alla sua famiglia.
I due discepoli di Emmaus ci impersonano tutti. Anche la nostra, quella che abbiamo intrapreso è una strada imboccata al tramonto, il tramonto delle nostre umane attese. Sapremmo raccontare a menadito come sono andate le cose. Sapremmo fare la cronaca ma ci manca la capacità di restituire un senso a questo evento. Ed è quello che si incarica di fare con noi il Signore Gesù che ci accosta proprio su questa strada del tramonto della speranza. Lo fa con discrezione, quasi in punta di piedi, mettendosi al nostro passo e chiedendoci di non aver paura di esternare quello che ciascuno di noi si porta nel cuore.
Una morte improvvisa chiede a noi di discernere quale parola è custodita in essa per ciascuno di noi. Ci chiede di far sì che quello che ad una prima lettura cogliamo come un accadimento, una cosa che ac-cade senza alcun senso perché letteralmente ci è piombato addosso, diventi un avvenimento: anche in questa esperienza di dolore c’è un cammino di Dio verso di noi. Ecco perché non stiamo facendo una commemorazione ma salutiamo Francesco celebrando l’Eucaristia, che è rendimento di grazie.
Anche questa vicenda racchiude e nasconde una presenza di Dio, tutta da discernere, tutta da ascoltare. Come nella morte di Gesù.
Appresa la notizia che Francesco non ce l’aveva fatta, scrivevo alla mamma: Questa è l’ora della fede… è l’ora, cioè, in cui siamo chiamati ad entrare in una esperienza di fiducia che la morte di Francesco non è l’ultima parola, anche se noi non sappiamo come, anche se non sappiamo quali risvolti questo evento potrà avere sulla nostra vita.
Se credi… vedrai la gloria di Dio… così Gesù a Marta. Se credi, se ti affidi, si aprirà per te, nella tua vita, una fessura e da quella fessura vedrai in che cosa consista la gloria di Dio. Marta, quel giorno vide una strana fessura, una strana gloria, uno strano Dio, un Dio che piange. Un Dio che siede accanto e piange è un segno di risurrezione oggi. Noi prolunghiamo la sua gloria quando, come Gesù, piangiamo e singhiozziamo, quando ci ribelliamo all’aria di morte.
Tutte le volte in cui Dio sembra indifferente al dolore degli uomini, in ritardo sulle nostre invocazioni, non è segno che non gli siamo amici. Gesù non è venuto ad alterare il ciclo normale della vita fisica, liberando l’uomo dalla morte biologica, ma a dare alla morte un nuovo significato. È il compito che attende ciascuno di noi: è Francesco a chiedercelo da quella cattedra scomoda sulla quale è salito.