Accogliendo l’invito a farci “pellegrini di speranza”, ho pensato di condividere alcuni ricordi dei momenti in cui sono stato chiamato ad accompagnare il passaggio dalla vita alla morte di tanti fratelli che in questi circa trentuno anni di ministero sacerdotale ho avuto modo di incontrare. Così, a cadenza settimanale, proverò a condividere i commenti tenuti durante la liturgia di commiato provando ad alimentare la speranza di quanti attraversano un tempo di fatica e, talvolta, di disperazione. I nomi sono di fantasia ma ciò che racconto è quello che ho avuto modo di toccare con mano personalmente.

______________

Qualche anno fa, il giorno di Capodanno, avevo appena finito di pranzare quando fui chiamato per assistere nella sua agonia Alfredo . Appena entrato nella stanza, non potei non andare con la mente alla scena di Gesù nell’orto degli ulivi e poi a quella di Gesù sulla croce.

In quel corpo straziato dalla sofferenza mi sembrava di rivedere l’angoscia di Gesù quando nel Getsemani sudava addirittura sangue e invocava il Padre perché passasse da lui quella tormentosa prova. E poi pensavo, però, che rispetto all’esperienza di Gesù, in quella immagine che avevo davanti, c’era una grande differenza: Gesù, infatti, aveva chiesto conforto e compagnia ai discepoli perché vegliassero con lui in quell’ora ma essi non erano stati in grado di sostenere quell’invito e si erano addormentati. Non così per Alfredo: i tre figli, infatti, erano lì a sostenerlo e ad accompagnarlo con l’amore anzitutto, con il dolore, con la fatica del distacco ormai prossimo ma poi, soprattutto, con la preghiera. Alfredo stesso stringeva tra le mani, come gli era possibile, una decina del rosario che – notai, poi, con piacere – i figli avevano lasciato al suo dito anche nella morte, quasi conforto in quell’ora tremenda e viatico nel passaggio da questo mondo al Padre.

Devo ringraziarvi, ragazzi, perché siete stati per me una testimonianza: il vostro pregare con me per vostro padre è stato il dono più bello che possa aver ricevuto all’inizio di un nuovo anno. Tornai a casa a piedi volutamente nonostante l’insistenza dei parenti: avevo bisogno di lasciar decantare quel momento che per me era diventato una pagina di vangelo.

Mi chiedevo che senso avesse iniziare un nuovo anno così? E ripensavo al valore della vita, al fatto che davvero non siamo padroni di nulla, all’importanza di curare legami e affetti proprio come avevo visto in quella casa quel pomeriggio.

Vedevo invertite le parti quando il figlio maggiore fissava lo sguardo negli occhi di suo padre e lui diventava genitore di suo padre mentre lo affidava alle braccia del Signore: proprio come un genitore davanti al suo figlio piccolino. E pensavo all’importanza dell’aiutarsi a generare a vicenda nella vita quando un momento di prova bussa alla nostra porta e qualcuno ci prende per mano e ci accompagna. Mi risuonavano le sue parole: “Papà, sono qui, non ti mollo”.

Lottò con tutte le sue forze, Alfredo, per restare aggrappato alla vita. Lo aveva fatto nei mesi passati, provato da un brutto male e lo ha fatto negli ultimi istanti. In quei momenti sembrava risuonasse in me il grido di Gesù sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E sembrava un grido inascoltato, buttato quasi nel nulla.

Ma poi la scena, d’improvviso, mutò e vedemmo il gesto più bello e impagabile: la resa, l’affidamento e il sorriso. Il volto si era disteso e in quella stanza dove brillava solo la luce del comodino per ovvie ragioni, stava spuntando una nuova luce, di quelle che ti restano dentro per sempre. Vedendo i suoi lì accanto iniziò a sorridere, lo stesso fece vedendo me. Quel sorriso! Fino a quell’istante il dolore non gli permetteva di voltarsi. Non ci conoscevamo ma era evidente che il mio abito gli richiamava tante cose, quasi la conferma che valesse la pena affidarsi perché dall’altra parte c’erano delle braccia pronte ad accoglierle, proprio come avevamo chiesto insieme nella preghiera.

“La fede è fondamento delle cose che si sperano ed è prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1), afferma la Lettera agli Ebrei. Quel giorno ne ho misurato tutta la consistenza.