https://www.youtube.com/watch?v=LU8SgLBQAAs Avevano le idee chiare, Giacomo e Giovanni. Sapevano cosa volevano e per cosa stavano dando da farsi. Forse per questo erano soprannominati “figli del tuono”. Mossi da un loro bisogno, avanzano quella strana richiesta. Li aveva chiamati perché “stessero con lui”, per condividerne non solo i passi e la meta ma lo stesso sentire, …
Avevano le idee chiare, Giacomo e Giovanni. Sapevano cosa volevano e per cosa stavano dando da farsi. Forse per questo erano soprannominati “figli del tuono”. Mossi da un loro bisogno, avanzano quella strana richiesta.
Li aveva chiamati perché “stessero con lui”, per condividerne non solo i passi e la meta ma lo stesso sentire, gli stessi desideri, la stessa passione, lo stesso volere. Ad un tratto, però, il rapporto si capovolge. Invece di chiedergli cosa davvero egli desiderasse da loro, eccoli a costringerlo a rivestire il loro ruolo: “Che cosa volete che io faccia per voi?”.
Stare alla tua destra nella tua gloria.
È questo che desiderano i due dando voce, in realtà, al pensiero di tutti se è vero che, una volta smascherati, non tarderanno a prendersela con loro solo per essere stati più sfacciati, mica perché avessero sbagliato richiesta.
Voi non sapete quello che chiedete.
Se lo sapessimo, non tarderemmo a retrocedere. Perché il problema è proprio cosa si intende per gloria. Per noi è l’apice del successo, il culmine di un percorso faticoso, l’esito di un impegno senza risparmio. È la possibilità di dire la propria sedendo in alto, sopra qualcuno. Non così per Gesù se è vero che dirà “ora il Figlio dell’uomo è glorificato” quando Giuda uscirà dal cenacolo per tradirlo. Per lui la gloria è la rivelazione della tua identità, della tua portata, del tuo peso. E quello si palesa nell’”ora arrischiata”, per dirla con Pavese.
Potete bere il calice che io bevo?
Cioè, siete disposti a non venir meno a una esperienza di comunione proprio mentre siete abbandonati da tutti e traditi? Siete di in grado di assumere la vita entrando fin nelle sue trame più recondite – è questo il senso del battesimo di cui parla Gesù – e farlo con misericordia infinita, andando oltre ogni giustizia? Siete capaci di arrivare a morire per amore? È questo che state chiedendo?
Per Gesù è questa la condizione e la garanzia che consente a un potere di rimanere tale e di non degradare in dominio. La via proposta da Gesù è bere al suo calice, vale a dire, se non passi dentro i drammi della gente, se non condividi dal di dentro, non dall’alto, la sofferenza, se non ti coinvolgi nel calice amaro, la tua voce e il tuo potere non sono una risposta né ai problemi, né alla vita, né alla morte. La tua è una commedia, è letteratura, è accademia.
“Sono venuto per servire”. Dio non tiene il mondo ai suoi piedi. Dio, invece, è inginocchiato ai piedi di ogni creatura. I grandi della storia sono grandi perché hanno giocato e vinto con la morte di loro rivali. Dio non gode della tua morte o della tua rovina. Non ha bisogno di troni: egli si cinge di un asciugatoio. Non cercare Dio guardando in alto, in cielo: prova a scorgerlo ai tuoi piedi. L’impero di Dio è lo spazio che tu gli concedi perché lui possa lavare i tuoi piedi.
Servire è una dimensione dell’intera esistenza e non già un frammento del nostro tempo e del nostro agire. Servire è un modo di esistere e non già un qualcosa di improvvisato o legato all’interesse immediato.
Il vero servizio non raggiunge soltanto il bisogno della gente, ma le persone. Si può essere anche efficienti per quanto riguarda i bisogni e magari trascurare le persone.
Lo possiamo.
Non giudichiamo ardita questa risposta. I due dicono il vero. Anche un uomo può arrivare a tanto. Quanti, infatti, stanno nella vita senza mai maledirla!
È vero: è possibile amare fino a tanto. Il punto, semmai, è volerlo quando la vita ci chiede di bere quel calice ed essere immersi in quella esperienza. Ora comprendo perché, quand’ero bambino e ragazzo, il mio parroco ci faceva pregare ogni sera un’Ave Maria per invocare la grazia della perseveranza finale. E comprendo pure perché Santa Teresa d’Avila scriveva di aver trovato finalmente Dio quando aveva smesso di cercare se stessa.