https://www.youtube.com/watch?v=MJ0S5olGgho Prova a guardare come sei fatto, riprendi ad ascoltare il cuore, impara a riconoscere per che cosa vibra ancora, riconosci ciò a cui sei chiamato, riprendi a frequentare la forza del bene. È questo ciò che Gesù ripete ai farisei di sempre che, nel tentativo di metterlo alla prova, gli sottopongono l’annosa questione del …
Prova a guardare come sei fatto, riprendi ad ascoltare il cuore, impara a riconoscere per che cosa vibra ancora, riconosci ciò a cui sei chiamato, riprendi a frequentare la forza del bene.
È questo ciò che Gesù ripete ai farisei di sempre che, nel tentativo di metterlo alla prova, gli sottopongono l’annosa questione del “quando si è autorizzati a dichiarare conclusa una relazione? Cosa è permesso, cosa è proibito?”. La domanda giusta, infatti, non è sapere quando sono finalmente esonerato dall’avere a cuore l’altro, ma qual è il modo perché un rapporto non giunga mai a prendere le distanze. Non è una legge a stabilire come salvare un legame ma i riti del cuore che aiutano a tener viva quella unione. Non basterà una vita per imparare ad amare e ad amarsi.
Nessuno si avventurerebbe in una storia d’amore se non ci fosse il desiderio recondito che essa duri per sempre. Ma perché questo accada non basta firmare un atto di matrimonio o semplicemente decidere di non voler sciogliere quel rapporto. È necessario apprendere l’arte di amare che, prima ancora di essere il titolo di un libro, ha il suo maestro nella persona di Gesù il quale non conosce mai crisi d’amore perché non conosce crisi di fede.
Io non ho bisogno di una spiegazione morale, anzitutto, ma di essere iniziato alla esigente arte di uscire da me stesso per andare incontro all’altro. Perché in ogni nostro legame è necessario “invitare alle nozze anche Gesù”, come narra il mirabile episodio delle nozze di Cana? Perché è solo la sua presenza a fare da discrimine nei nostri rapporti sempre a rischio.
È solo per la ristrettezza del cuore umano – afferma Gesù – che Mosè dovette abbassare il tiro. “All’inizio non fu così”. Dio, infatti, aveva pensato all’identità dell’uomo non come a se stante ma come intrinsecamente bisognosa dell’alterità, di qualcuno che nella sua diversità gli stesse di fronte, di qualcuno che finalmente pronunciasse il suo nome. All’uomo non mancava nulla. Aveva dato il nome a ogni essere vivente, mancava invece chi gli dicesse il suo. Solo chi continua a pronunciare il mio nome mi rivela chi sono, anche nella notte del tradimento o dell’abbandono come accadrà a Gesù che chiamerà Giuda “amico”. Il dramma di tutti noi, infatti, è proprio trovare qualcuno che dica il nostro nome in modo unico, altrimenti irripetibile.
È di questo progetto che occorre riappropriarsi se non vogliamo vivere un perenne vagabondaggio affettivo. E come ogni progetto che si rispetti, farlo proprio, elaborarlo, portarlo a realizzazione ciascuno per la sua parte.
Che cos’è l’attrazione che scatta nei confronti dell’altro da me se non l’espressione di quella complementarietà iscritta nel nostro DNA? Proprio la presenza dell’altro che io scopro come attraente perché a me complementare, è ciò che ha il potere di farmi uscire dai recinti relazionali della casa di origine per aprirmi all’esperienza dell’unione con lui o con lei. Ma l’unione con l’altro non è uno stato acquisito mentre si redige un patto matrimoniale; l’unità, infatti, postula una continua uscita da sé perché si abbia una condivisione completa. Il progetto degli inizi aveva come meta una vita sola in due: “non sono più due ma una carne sola”. E il modello per adempierlo resta quello che Gesù ha compiuto nella sua incarnazione quando ha assunto la nostra stessa condizione, si è messo, cioè, nei nostri panni. Se il dolore o la gioia dell’altro con cui sto, non diventa il mio dolore e la mia gioia, siamo separati anche senza aver infranto alcuna norma.
Se è vero che i cuori restano due, unico è l’amore; se a camminare sono quattro piedi, una è la strada; se a guardare sono quattro occhi, unica è la direzione.
Carne richiama le cose semplici di una giornata, cose concrete: da cosa scegliere di vedere a dove fare una vacanza; dal che fare di fronte al capriccio di un figlio al concedersi dei tempi di gratuità. Carne, poi, dice anche fragilità, ambiguità, limite, delicatezza.
Di questo siamo costituiti sacramento: di un amore che, per quanto fragile, sempre esposto, è anche tanto tangibile, persino quando non lo meriterei.