Uno strano epilogo conclude il lungo discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao. A lungo si era intrattenuto sulla necessità di nutrirsi di lui se davvero si vuol gustare la vita in pienezza.
Al perenne desiderio insito nel cuore dell’uomo di poter aver accesso alla vita e al mistero di Dio (cfr. mito di Prometeo), Gesù aveva risposto attraverso il dono della sua stessa esistenza: il percorso per aver accesso alla vita di Dio era quello di assumere lo stile dell’esistenza del Figlio stesso di Dio. Nutrendosi di lui, però, ci si mette nella disposizione di lasciarsi mangiare dalla fame di amore, di amicizia, di umanità, di giustizia, di pace che avvertiamo attorno a noi.
C’è tra i discepoli, chi sente le parole di Gesù come un linguaggio duro e c’è Pietro che riconosce in quello stesso dire, parole di vita eterna.
I discepoli non riescono a cogliere la portata e il senso delle parole di Gesù e perciò si fermano a un approccio “carnale”, proprio di chi resta alla superficie delle cose e per questo non riesce a leggere in quel pane spezzato per la fame di tanti, il rimando ad altro, come Gesù si sarebbe aspettato che fosse.
Essi equivocano leggendo in modo distorto gli eventi. In quell’uomo che hanno davanti, pure apprezzato per i miracoli che compie, riescono a cogliere solo il figlio di Giuseppe e di Maria, nulla di più. e non riuscendo a cogliere il senso nascosto di ciò che accade sotto i loro occhi, preferiscono concludere che non ne vale la pena. Un meccanismo piuttosto comune, a cui non sfugge nessuno di noi, allorquando la vita ci chiede di deporre il nostro consueto modo di misurare persone, situazioni, cose per provare ad andare oltre il mero accadere: meglio deprezzare che lasciarsi mettere in gioco, meglio svalutare che lasciarsi confrontare. Questo approccio, ripete Gesù, non giova a nulla. Se non ci si lascia ammaestrare dallo Spirito di Dio, quella di Gesù resta una pretesa inaccettabile. Se non ci si lascia guidare dallo Spirito di Dio, tutto nella nostra vita resta muto.
I discepoli appartengono alla categoria di chi si vanta del fatto che non ci si può non ritenere cristiani, ma non sanno più rendere ragione del perché lo siano. Gesù, invece, chiede di passare dal “perché non posso non dirmi cristiano” al “perché sono cristiano”. Nel primo caso, tutto è dato come assodato e ovvio, nel secondo tutto è sempre da rimotivare.
“Molti de suoi discepoli si tirarono indietro”. Gesù non fa nulla per trattenerli, non riduce le sue pretese. In genere, in tempo di crisi, il prodotto si svende. Non così con Gesù: non concede sconti. Addirittura aumenta le richieste, gioca al rialzo. Preferisce rimanere solo piuttosto che mercanteggiare sulle cose essenziali.
La fede richiesta da Gesù non è il riconoscimento di lui in base ad una identità culturale ma la disponibilità a intraprendere un cammino al cui termine c’è il dono di sé, la rinuncia a ogni forma di potere, l’amore manifestato fino all’estremo anche nei confronti di chi sentiamo come una minaccia.
A salvarci non sarà mai l’accettazione di una tradizione religiosa ma l’accoglienza di uno stile di vita come espropriazione, decentramento.
Da notare che l’alternativa non è tra andarsene o rimanere ma tra tirarsi indietro e seguire: “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui”. Seguire il Signore è realtà che implica movimento e non immobilismo.
“Questa parola è dura!”.
Per i discepoli la fede avrebbe dovuto essere chiarezza di cammino, certezza di risultati, promessa di vittorie. Non appartiene alla loro esperienza che la fede sia un vedere e non vedere, un trovare e poi perdere e poi ritrovare; un vedere Dio ma di spalle, quando è già passato; un riconoscere il Signore che subito scompare; un instancabile ricercare; un’inquietudine del cuore.
“Volete andarvene anche voi?”
Mai impositivo il Dio di Gesù. Essere posti di fronte a questa domanda significa riconoscere che il Dio di Gesù non si imporrà mai come necessario alle persone.
“Signore da chi andremo?”
Il problema non è dove andare ma da chi andare, perché la nostra esistenza non si lega tanto ad un luogo quanto a delle persone.
“Tu hai parole di vita eterna”. Voglia il Signore che le parole ripetute qui oggi siano quelle che accompagnano i nostri passi quando, a fronte di solenni smentite che pure patiamo per la fede in lui, ci viene la tentazione di andare dietro a chi forse ci sfama ma al prezzo della nostra libertà.

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Dal Vangelo secondo Giovanni 6,60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».

Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».