Passiamo all’altra riva…
Tutto avrebbe sconsigliato una simile proposta. Ne venivano da una giornata intensa. Aveva subito le calunnie da parte degli scribi, l’essere ritenuto fuori di sé da parte dei suoi. La folla era tanta e Gesù aveva addirittura dovuto farsi mettere a disposizione una barca da cui parlare. Poi, ancora, aveva parlato loro in parabole. Era ormai sera e il buon senso avrebbe suggerito di non avventurarsi. Se a questo si aggiunge poi il rischio di un violento temporale che senz’altro stava per annunciarsi e, da ultimo, la non opportunità di frequentare un territorio, quello della Decapoli, da dove qualcuno gli chiederà addirittura di andarsene (si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio, Mc 5,17) il quadro è completo. Di sera attraversare il lago verso un territorio pagano? Significava proprio andarsela a cercare. Che necessità c’era in quell’avventurarsi un po’ maldestro, superficiale e incosciente? E invece, puntuale giunge l’invito di Gesù: passiamo all’altra riva. Invito ripetuto ogni giorno da allora alla comunità dei discepoli di ogni tempo: passiamo all’altra riva. Invito ripetuto anche l’ultimo giorno della nostra avventura terrena quando saremo chiamati a guardare le cose come le guarda Dio.
Immagino la resistenza dei più che senz’altro avrebbero preferito altri lidi. Quello in cui si trovavano e che già conoscevano era senz’altro più sicuro.  A quell’ora, dopo una giornata intensa…. Ma cosa ti viene in mente? Non hai altro a cui pensare? Resistenza che emergerà tutta di lì a poco quando si trasformerà in paura prima e rabbia poi tanto da rimproverare chi aveva preso l’iniziativa di quella sciocca e drammatica  traversata: non t’importa che moriamo? Della serie: te l’avevamo detto… Dinamiche che ben conosciamo.
Passiamo all’altra riva…
Non è il diversivo proposto da Gesù al gruppo dei discepoli. C’è un ben preciso intento in quell’invito espresso con autorevolezza in un frangente che forse consiglierebbe di rimanersene tranquilli sulla sponda che già conoscono. Appunto, quel passiamo all’altra riva… è l’invito/comando a lasciare la riva di sempre, le sponde fin troppo frequentate. C’è un’altra postazione da guadagnare e non già per fare proseliti ma per provare a guardare le cose di prima e la riva di prima, come passate. Ne sono nate di nuove. C’è una pasqua da vivere.
Passiamo all’altra riva…
Quanta seduzione in queste parole di Gesù! Quali orizzonti potrebbero dischiudere! Quali territori del cuore ancora da esplorare! Parole da accogliere sulla fiducia, quella di sapere che lui è con noi, sulla stessa barca: non avete ancora fede? E, tuttavia, quelle parole ripetute da Gesù nelle nostre sere se da una parte lasciano presagire possibilità inedite dall’altra marcano al contempo tanta resistenza a far sì che le nostre barche si lascino sospingere verso confini mai valicati prima.
Il passare all’altra riva, infatti, non è mai indolore. Si scatena una vera e propria tempesta dinanzi alla quale la reazione prima è la paura, vale a dire l’incapacità di stare nella bufera senza perdere la pace. In più, come se non bastasse, a colui che ha preso l’iniziativa di buttarci a mare sembra non interessi quello che per colpa sua in qualche modo stiamo vivendo: non t’importa che moriamo? La paura della morte: ecco cosa fa capolino tutte le volte che la vita ci mette dinanzi un’altra riva. La paura di lasciare un mondo, un territorio, un’esperienza di cui conosciamo il codice, un’esperienza che abbiamo imparato a gestire. Avventurarsi come Gesù propone verso un territorio a rischio di contaminazione come poteva essere un territorio pagano scatena tutta una serie di eventi che immediatamente ci fanno perdere il controllo. E a noi par di morire. Già. La posta in gioco è proprio accettare di morire alla vecchia riva, al vecchio modo di guardare le cose. Perché siete così paurosi? È l’invito a dare un nome e un volto alle mie paure. Che cosa mi trattiene?
Il vento e il mare infuriati ci parlano spiegandoci nuove visioni della realtà ma il loro è un linguaggio che non conosciamo perché violento e dunque non sappiamo dominarlo. La furia del vento e del mare ci dicono che è con altri strumenti che sarà possibile compiere quella traversata. I soliti modulati sul ritmo dell’ansia e della paura non portano da nessuna parte. Quanto diversa la reazione di Gesù di fronte a quello stesso linguaggio del vento e del mare: egli se ne stava a poppa, su un cuscino, e dormiva. Sarà lui a mettere a tacere vento e mare quando si troverà costretto a misurare che nel nostro cuore fa fatica  a germogliare la fede e la disponibilità a lasciarsi condurre. E intimerà al vento e al mare non di arrestarsi ma di non più parlare.
Perché sono così pauroso? Non ho ancora fede?
Due domande da tenere sempre aperte se voglio accogliere l’opportunità di conoscere altre rive. La paura della traversata non ci impedisca di conoscere nuovi approdi.

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Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41
In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».