“Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”.

Stamattina, quando ho avuto modo di raggiungere la camera mortuaria per la benedizione della salma, intrattenendomi con la moglie Tina, prima, e con Iolanda e Claudia, poi, non ho potuto non riandare con la mente alla formula del matrimonio perché è quello che Tina e Pinuccio hanno vissuto “tutti i giorni della vita” di Pinuccio sin da quando si sono conosciuti ancora ragazzi.

È una grande grazia e una bella testimonianza poter chiudere gli occhi a questa vita sapendo di aver onorato la vocazione che il Signore ha pensato per noi e le persone che egli stesso ci ha messo accanto.

Vorrei ringraziarvi proprio per la testimonianza di serenità che stamattina mi avete donato accorgendomi che non ero io a espletare un servizio ma voi a condividere un dono nei miei riguardi.

Tra le altre cose vi scusavate per la poca assiduità alla frequenza liturgica della nostra fede ma, stando al vangelo appena proclamato, l’esame finale della nostra vita non sarà la partecipazione religiosa ma la fedeltà alla liturgia della vita.

Qui, in chiesa, riconosciamo Dio presente nei sacramenti ma egli ha scelto un modo tanto insolito quanto dimesso da non essere immediatamente riconoscibile: la vulnerabilità dell’altro, il limite dell’altro. Lì Dio ha scelto di stabilire la sua dimora, lì ha scelto di piantare la sua tenda e lì ha chiesto di essere onorato andando anche oltre il dovuto.

Tutte le volte che ci saremmo misurati con la debolezza altrui, lì Dio fissava l’appuntamento privilegiato da non disattendere, pena il fallimento del nostro stesso essere al mondo. E cosa è stata la malattia di Pinuccio se non un appuntamento con il Signore stesso? Avete provato a restituirgli quanto con generosità egli ha condiviso, dal lavoro ai valori per i quali vale la pena spendere la propria esistenza.

Se Dio si è fatto uomo è sempre con l’uomo che i credenti devono accettare di misurarsi se vogliono misurarsi con Dio. A determinare la riuscita di un’esistenza non è il rapporto con Dio ma quello con gli uomini: “Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21).

A nessuno sarà chiesto se ha creduto, ma se ha amato; non gli sarà chiesto se è salito al tempio, ma se ha aperto la sua casa al bisognoso; non gli sarà chiesto se ha offerto al Signore, ma se ha condiviso il pane con chi ne aveva necessità.

Quel giorno scopriremo che si possiede in modo definitivo solo ciò che avremo voluto condividere e quindi perdere immediatamente. Strana matematica quella di Dio: più ti privi più raccogli, più doni più ricevi. La chiusura, invece, l’indifferenza, il rifiuto non potranno non avere come esito se non il nulla dal momento che hanno già distrutto l’esistenza. Alla fine, infatti, nessun giudizio, solo una rivelazione di quello che ha animato il cuore dell’uomo e perciò una separazione, la stessa che è possibile effettuare tra pecore e capre.

Stando così le cose, egli stabiliva che l’intera nostra esistenza sarebbe diventata la vera liturgia da offrire a Dio. C’è, forse, un istante della nostra giornata in cui qualcuno non fa appello implicitamente alla nostra cura? Da chi ci tende una mano a chi ci mostra il suo viso triste, da chi è chiuso nel suo isolamento a chi non riesce a gustare un po’ di serenità, noi siamo posti continuamente di fronte al mistero santo di Dio che si manifesta nascondendosi, ossia facendo appello alla tua libertà e a quella presenza di sé impressa dentro di te mentre venivamo plasmati a sua immagine e somiglianza.