Si può non amare il padre e la madre? Si può non amare il figlio o la figlia? E perché dover prendere una croce?
Cosa c’è dietro un linguaggio tanto paradossale?
La nostra vita, ci ricorda Gesù, si costruisce attorno a dei veri e propri assoluti:

  • l’assoluto della parentela (la mia famiglia, i miei cari)
  • l’assoluto dell’istinto di conservazione di sé (la mia vita)
  • l’assoluto di una progettazione indisturbata dei propri giorni (la mia sicurezza).

Questi assoluti, poco o tanto condizionano e determinano orientamenti e decisioni. Se volessimo esemplificare, essi attestano che cosa viene prima, cosa c’è di prioritario nella nostra esistenza.
Si perviene all’età adulta quando si decide di vivere per qualcuno e per qualcosa, che costituiscono l’oggetto del proprio amore e della propria dedizione.
Si diventa cristiano adulto quando si trova in Gesù e nel suo vangelo la ragione profonda del suo esistere e del suo morire.
Una profezia di tutto questo ci è narrata mirabilmente attraverso l’episodio della donna di Sunem che, pur soffrendo per la sua condizione di sterilità, non aveva chiuso il suo cuore alla visita di Dio. Il dolore per la mancanza di un figlio non aveva fatto di lei una donna ripiegata tanto da aver attenzione e cura senza alcun secondo fine: accoglie il profeta Eliseo come profeta e tanto le basta. La donna incarna la capacità di saper discernere ciò che è prioritario: proprio quando tutto suggerirebbe di pensare alla sua situazione, lei stabilisce una diversa classifica affettiva. Quante le situazioni in cui siamo chiamati a stabilire cosa mettere al primo posto! Cosa scegliere? E in base a cosa?
La capacità di espropriarsi della donna di Sunem verrà ripagata oltre ogni aspettativa: dovrà allargare casa perché presto avrà il figlio ormai non più sperato.
Forse, a questo punto, arriviamo a comprendere le parole di Gesù che ci mettono in guardia dall’assolutizzare rapporti che sulla lunghezza diventano un ostacolo alla crescita. Per questo chiede il “di più” nei suoi confronti: per non perdere di oggettività nelle relazioni che finiscono per creare dipendenze. Conosciamo tutti la terribile esperienza del non riuscire a fare a meno di qualcuno o di qualcosa. Come potrei essere libero se ne dipendo? C’è ancora margine per dire la verità a qualcuno da cui dipendo o non è piuttosto vero che la paura del rifiuto finisce per farci vivere rapporti non solo immaturi ma ipocriti?
Per questo Gesù chiede che Dio venga prima di ogni nostro assoluto perché è il solo a garantire che tanto il rapporto con l’altro quanto con le cose e con me stesso sia vissuto per quello che deve essere in verità.
“Chi avrà perduto la sua vita, la troverà”. Trovare la vita è ciò che sta più a cuore a ciascuno di noi. Noi esprimiamo tale desiderio ogni volta che cerchiamo affetti che ci diano calore, quando allontaniamo da noi il dolore che ci minaccia, quando siamo alla ricerca di esperienze significative. La nostra vita è fatta per la pienezza, cerca la realizzazione di sé. Ma i percorsi verso la realizzazione di noi stessi non sono scontati. Spesso ci sembra di averla trovata, e nello sforzo di tenercela stretta, finiamo per costruirle intorno degli orizzonti angusti che diventano un chiaro segno che la stiamo perdendo.
Gesù ci indica la sua strada, l’unica possibile per raggiungere la vita in pienezza. Ed è la strada che ha percorso lui: la strada di un amore che si dà in maniera totale, di un amore che si dimentica nella morte perché ama la vita dell’altro.
Come camminare su questa via? Prendendo la nostra croce e seguendo il Signore. La croce non va portata, va anzitutto presa, assunta. Prendere la croce non vuol dire soltanto portare sulle nostre spalle le tribolazioni che ci capitano in maniera accidentale, significa piuttosto prendere su di noi il suo progetto di vita, calandolo nella concretezza delle nostre circostanze storiche. Prendere la croce vuol dire cessare di vivere uno stile autoreferenziale. Vuol dire non preoccuparmi di me stesso, vuol dire non mettere mai in bilancio, nei momenti decisivi, ciò che a me giova, anzitutto.
La croce insita nel seguire Cristo non è una fatalità subita ma una fedeltà sposata.