Li aveva inviati a due a due ad essere segno di un amore che non è mai la risposta a una disponibilità accordata in anticipo ma possibilità offerta, comunque, gratuitamente.
I discepoli del Signore erano stati pensati come segno di un Dio perennemente alla ricerca dell’uomo che sono io, sempre recalcitrante, sempre sospettoso, sempre smarrito su strade d’illusione.
A loro, però, aveva detto chiaramente che a chi ha deciso di legare la sua vicenda a quella del Figlio di Dio, può capitare di ritrovarsi in situazioni di pubblica sconfessione se non addirittura di rottura dei vincoli affettivi. Proprio quei frangenti avrebbero misurato il grado di appartenenza nei confronti di ciò che era diventata la loro ragione di vita. Ne sapeva qualcosa già il buon Geremia, desideroso come chiunque di noi di vivere rapporti cordiali con tutti. E, invece, proprio la parola di cui era stato costituito annunciatore, aveva finito per provocare profonde lacerazioni nella sua esistenza. Ad un tratto si era ritrovato ad essere come una sorta di bastian contrario perché, grazie alla Parola che lo aveva raggiunto, era in grado guardare le cose a partire dal loro spessore più vero: tutto ciò che sembrava promettente custodiva, in realtà, germi di inconsistenza i cui esiti sarebbero stati nefasti per l’intero popolo. Ad un tratto, il desiderio di una vita tranquilla sembrava svanire come un sogno che lascia tutto l’amaro della non realizzazione. Eppure, c’era nel suo cuore qualcosa di più forte dell’ostilità dei suoi avversari, una vera e propria passione, un fervore tale da identificare vita e missione.
È a questo fervore che fa riferimento Gesù allorquando invita i suoi a “non aver paura di coloro che uccidono il corpo”. È solo il fervore a rendere i discepoli “saldi nella fede, gioiosi nella speranza, operosi nella carità”. È ciò che ti ha toccato il cuore a renderti capace di non aver paura di annunciare da un tetto quello che hai udito nel silenzio della tua stanza. È solo la ragione del cuore a far sì che i tuoi passi corrano spediti nella certezza che nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù. È quando il cuore è ricolmo di passione che vivi nella consapevolezza che qualunque cosa ti accada, Dio stesso è coinvolto nella tua vicenda.
Il fervore si esprime attraverso il dono di sé e si custodisce mediante il giusto sentire di sé: “io valgo più di molti passeri”. Sapere di avere un nido nelle mani di Dio, questo orienta pensieri, illumina sguardi e motiva scelte. Quando questa consapevolezza è smarrita, il battere in ritirata è dietro l’angolo.
“L’amore scaccia il timore” (1Gv 4,18).
A minacciare questo fervore sono la paura e la tristezza. Si può anche essere intraprendenti (quanti!) e tuttavia privi di zelo sincero, si può anche essere vivaci (quanti!) ma privi di entusiasmo sincero. La tiepidezza è ciò che il Signore scorge e mette sotto accusa nel libro dell’Apocalisse, allorquando, alla Chiesa di Laodicea scrive: “Conosco le tue opere. Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo!” (Ap 3,15).
La mancanza di fervore “nasce dal di dentro; essa si manifesta nella negligenza e soprattutto nella mancanza di gioia e speranza” (EN 80), nasce da un cuore non più irrorato dalla certezza dell’amore di Dio per me. Quand’è che si spegne la voglia di mettersi in gioco in un rapporto se non quando il cuore ha smarrito la memoria del legame? Quand’è che battiamo in ritirata in un impegno se non quando abbiamo permesso alla routine di consegnare il conto a nostro carico? Quand’è che chiudiamo la partita con Dio se non quando abbiamo smesso di frequentarlo?
“Non abbiate paura!”. Sono consapevole che la mia vita è affidata al Signore e che sono nelle sue mani?
Non temere perché tu vali più di molti passeri: eppure nessuno di essi cade all’insaputa del Padre. Non sei stato tu a darti la vita, ti è stata donata e questa vita non è affidata al caso, al destino, alla sorte, non è in balia di se stessa. È il Padre a guidare la nostra storia e anche se non sempre riusciamo a comprendere il senso e la portata di ciò di cui talvolta siamo protagonisti, abbiamo fiducia in colui che vede la nostra storia con uno sguardo molto più ampio del nostro.
“Se Dio è con noi chi sarà contro di noi? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm 8,31-37).