Forse apparteniamo anche noi al novero di coloro che accostano il mistero della Trinità come qualcosa di estraneo alla vicenda umana, una realtà che riguarda Dio e solo lui chiuso nella sua beata eternità. Eppure, a ben riflettere, non c’è nulla di più vicino a noi di quello che professiamo quando riconosciamo Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo.
Perché mai l’incontro con qualcuno ci seduce ogni volta come fosse la prima volta? Perché tanto investimento nel voler scoprire cosa si nasconde dietro un volto, dietro una persona? Perché, per quanto possiamo essere disincantati per esperienze negative pregresse, di fatto, quando qualcuno fa capolino nella nostra vita attira interessi e catalizza energie come nessun’altra cosa al mondo? Non potrebbe essere diverso. Quando uscivamo dalle mani di Dio, infatti, noi venivamo impastati di relazione: “Non è bene che l’uomo sia solo”, aveva esclamato Dio.
In principio la relazione. Proprio così. E quando dico “in principio” non intendo qualcosa che è datato in un passato lontano ma qualcosa che continua ad accadere perché è una sorta di carattere universale della storia.
Se le mani del Padre ci creavano, ciò accadeva guardando all’immagine del Figlio mediante il soffio vitale dello Spirito Santo. È un marchio di fabbrica il fatto che noi siamo costituiti per la relazione e solo quando finalmente ci vediamo riconosciuti ed accolti gustiamo la pace, proprio come se di nuovo fossimo plasmati come nel mattino della creazione. Ci sembra davvero di toccare il cielo con un dito se gustiamo la gioia di un incontro in cui sappiamo di poter essere noi stessi. Sperimentiamo una vera e propria uscita da noi stessi, un’estasi, appunto. Quando ciò non accade, è minata la nostra stessa identità, ciò per cui siamo stati pensati e voluti, un vero e proprio inferno. Quando ci sembra che l’unica via d’uscita da certi guadi sia il ritrarsi risentito, noi veniamo meno al progetto delle origini, dando ascolto a chi da sempre vorrebbe seminare divisione e autonomizzazione. Se contemplare il mistero di Dio ci porta a concludere che non è possibile vivere senza l’altro, ascoltare la voce del divisore ci convince, invece, che “l’inferno sono gli altri”, per dirla con Sartre.
In principio la relazione.
Cosa accade, infatti, nella relazione? Che noi siamo riconosciuti nella nostra uguaglianza ma anche nella nostra unicità. Proprio come le tre persone divine, che sono uguali e distinte, uguali quanto alla natura, distinte perché il Padre non è il Figlio e non è lo Spirito Santo. Comprendiamo così perché tanta insistenza da parte dell’apostolo Paolo ad “avere gli stessi sentimenti, a vivere in pace”. È l’unico modo per non fallire la nostra esistenza.
Nell’incontro con l’altro, quando esso è vero, noi percepiamo una sorta di terreno comune – siamo accomunati dalla stessa umanità, appunto – ma nello stesso tempo ci sentiamo accolti nella nostra differenza, con la nostra storia unica, con il nostro volto inconfondibile, con i nostri sogni come con le nostre ferite.
Quando qualcuno ci conosce per nome (con tutta la valenza che ha una simile esperienza), si rende manifesto ciò che fa Dio con ciascuno di noi: nessuno di noi davanti a lui sarà mai un numero o una sigla se è vero che il nostro nome è scritto sul palmo della sua mano (cfr. Is 49,16).
Quando qualcuno ha attenzione per il nostro volto con tutto il suo carico di fatica e di gioia che da esso traspare, che cos’altro è se non un essere rischiarati dalla luce stessa di Dio?
Quando qualcuno ha cura per la nostra storia, che cos’è se non un perpetuare l’opera di Dio che non ricaccia mai nel dimenticatoio nessuno di noi?
Quando qualcuno ha rispetto per i cammini personali, che cos’è se non un continuare l’opera di Dio di fronte al quale non saremo mai una massa indistinta?
Se per il Padre, il Figlio e lo Spirito essere qualcuno non è ripiegarsi su se stessi contraendosi sulla propria identità, ma uscire da sé verso l’altro perché questi esista, ne deriva che la vera persona non è l’individuo preoccupato solo di se stesso. Si è persone nella misura in cui si scopre e si vive la propria chiamata alla relazione e alla comunione. Non a caso la parola esistere significa uscire da sé. Non è possibile altrimenti.
Celebrare allora la festa della Trinità significa rivedere tutto il nostro modo di relazionarci: quale impronta porta del relazionarsi delle tre persone divine?