cappelloUmanamente parlando, a rileggere la vicenda del Battista, sembra proprio quella di uno sfigato. Pur avendo tutti i numeri per rivendicare un suo primato, di fatto dovrà accettare di essere secondo ad un cugino di cui è chiamato a preparare l’arrivo, il passaggio. Fosse capitato a me un tale compito, o avrei mugugnato denigrandolo o mi sarei tirato indietro di buon grado. Avrei passato la vita ad accusare il fatto che se a me non sono toccate certe possibilità è solo perché ho avuto la sfortuna di avere un cugino più importante di me. Non pescano di qui certi nostri malumori e certi nostri stati depressivi che, talvolta, tentiamo di superare in modi alquanto patetici? Ne sono pieni i programmi televisivi pomeridiani e di prima serata.
E, invece, Giovanni non patisce il confronto: pur consapevole che suo cugino è più forte di lui, è ben felice di pensare la sua vicenda come quella di un apripista lieto di essere al mondo proprio per questo. Giovanni non recrimina affatto, anzi. Proprio l’aver chiaro chi era veramente quel cugino, lo rende uomo abitato da una passione implacabile che neppure la durezza del deserto riesce a spegnere.
Più avanti gli capiterà di poter cavalcare l’onda del riconoscimento e dell’investitura allorquando tutti gli chiederanno: ma sei tu il Messia? E, invece? Niente. Pur sapendo di essere un uomo carismatico, affascinante, uno dallo sguardo tanto profondo quanto lungimirante, elegante pur nella sua essenzialità, dai modi duri ma veri, capace di far breccia nei cuori più incalliti, maestro delle vie dello Spirito, uomo tutto d’un pezzo, non sceglie di far girare le cose a suo favore. Chi non gli avrebbe creduto? Aveva tutte le credenziali per essere il Messia atteso. Come se non bastasse, fu egli stesso a indicare ai suoi discepoli la presenza del Messia senza temere di slegarli da sé. Che scemo, avremmo commentato noi. E fatti valere, no? Approfittane, tanto che c’è di male? Ma c’è di più: proprio mentre tutti lo abbandonano per seguire Gesù, l’Agnello di Dio, dice che la sua gioia è compiuta, cioè ha raggiunto lo scopo per cui era al mondo. Favorire l’incontro: ecco il suo compito. La relazione, invece, avrebbero dovuto viverla con Gesù. Lieto di essere soltanto un amico che introduce. Giovanni, lasciatelo dire: sei proprio l’unico che è rimasto nel vivere così l’amicizia.
Proprio in questi giorni ho avuto tra le mani un post che mi ha allargato il cuore. Suona così: l’amicizia è quella cosa che tu sei triste e io di più, tu sei felice e io di più.
Tanto di cappello di fronte a un uomo della levatura di Giovanni. Capiamo perché Gesù chiederà ai suoi interlocutori: “Cosa siete andati a vedere? Un profeta? Si, vi dico, anche più di un profeta!”. Un uomo che ha non ricercato ossequi ma ha sempre custodito il giusto sentire di sé (che cos’è l’umiltà se non avere una giusta considerazione di sé?), un uomo che ha preferito la verità alla diplomazia, sporcarsi le mani piuttosto che adulare, pensare piuttosto che prostrarsi, pagare di persona piuttosto che svendersi, rimetterci la testa piuttosto che essere ridotto al silenzio.
Sfiorato da più tentazioni in cui chiunque di noi sarebbe cascato senza manco accorgersi, Giovanni si ritrova a fronteggiare l’ultima, quella che sembrerebbe mettere a repentaglio il senso stesso della sua identità e della sua missione. Vale ancora la pena perseguire un ideale quando le cose non filano più come avresti desiderato? È il dubbio di Giovanni nella prigione di Macheronte. Mi sarò mica sbagliato? Non gli brucia il fatto che per essersi intrufolato in quella losca vicenda tra Erode e quella donnaccia di sua cognata, egli sia costretto a finire i suoi giorni in gattabuia. A destabilizzarlo è Gesù che non corrisponde a come egli aveva inteso dovesse operare un Messia che si rispetti. Invece che scagliarsi contro chi sembrava essere pula, Gesù ne condivideva addirittura la mensa. Qualcosa non funzionava. Che razza di Dio è quello che si fa intenerire dalle situazioni di fragilità? E se fu uno scandalo per un uomo della levatura del Battista, figuriamoci per noi.
No, Giovanni, non ti sei sbagliato: il segno è il fatto che tanti che credevano di essere giunti a un punto morto, ora possono riprendere a sperare.
Grande è Giovanni, anzi il più grande tra i nati di donna. Però, tutti coloro che imparano a giudicare le cose non secondo il metro angusto delle loro aspettative ma dal punto di vista di Dio, sono più grandi di lui.
Alla causa di Dio non servono strali e saette, ma uomini capaci di fermarsi di fronte a chi porta sulla sua pelle il marchio della ferita del vivere.
E anche stavolta, Giovanni accetta di buon grado di resettare il suo immaginario: è il primo ad operare la conversione che sulle rive del Giordano predicava agli altri.
Chapeau.
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Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,2-11
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».