tutti i santiViviamo giorni in cui l’oscurità e il pessimismo sembrano essere nostri fedeli compagni e la nostra fede è messa a dura prova. Tocchiamo con mano l’esperienza della fragilità: un senso di smarrimento pervade la maggior parte delle nostre giornate mentre ci chiediamo se il nostro non è stato solo un bel sogno che ha dovuto fare i conti con la realtà.
Doveva essere la stessa situazione della comunità cristiana cui si rivolge il brano di Apocalisse. Come allora, ci ritroviamo un gruppo piuttosto sparuto con la pretesa di far scorrere un diverso ordine di cose mentre tutto attorno sembra giudicare come insensata una simile aspettativa. Come se non bastasse, la sensazione che più avvertiamo è quella di essere abbandonati a noi stessi in uno scenario in cui tutto sembra affidato alla casualità.
Ho provato, così, ad immaginare come rivolta a me la domanda che l’anziano pone a Giovanni nel libro dell’Apocalisse: Quelli vestiti di bianco, chi sono e donde vengono? È una domanda che ci chiede di ritrovare le proporzioni (operazione che forse facciamo fatica a compiere), quasi un invito a imparare a riconoscere e circoscrivere il male senza mistificazioni e a individuare e custodire i germogli di speranza. Ci manca un profondo sguardo di fede e perciò ci limitiamo a leggere il riscontrabile.
Chi sono e donde vengono? Credo che nessuno possa rispondere di non saperlo. Ciascuno di noi, infatti, potrebbe fornire un lungo elenco di persone conosciute che, con il loro amore, con la loro umanità mite e coraggiosa, pacifica e generosa, sgombra di tutto, innamorata del bene e del vero, hanno segnato non poco la nostra esistenza. Ci sono stati momenti particolari della nostra storia in cui qualcuno è stato per noi frammento del volto di Dio facendo sì che timidi germogli di vita non venissero calpestati.
Quanti ci hanno trasmesso il sapore buono del vangelo! Quanti ci hanno fatto sentire il profumo della tenerezza! Quanti ci hanno insegnato a guardare ogni cosa con occhi limpidi e buoni!
In genere non facciamo caso alla luce se non quando essa restiamo al buio: quando qualcuno dei nostri cari ci viene a mancare, ci accorgiamo di una santità anonima che ha rischiarato non poche delle nostre pagine di vita.
Questa festa restituisce alla santità non il volto dell’eroismo ma quello dell’umiltà e della fedeltà, il volto del lasciar trasparire il bene di cui ciascuno è capace. La santità, infatti, non coincide con la perfezione (quand’anche potessimo vantare una vita integra, chi di noi non porta con sé qualche piccola “tara”?) ma con la disponibilità a lasciarci amare da Dio così come siamo, ad aprire le proprie braccia per accogliere il dono della sua misericordia. Santità è imparare a vivere da figli di Dio: figlio è colui che partecipa della stessa natura del padre. Santità è lasciar scorrere nelle nostre vene la vita stessa di Dio, il suo stesso modo di amare, di sperare e di perdonare.
Abbiamo conosciuto persone capaci di obiettare, di contestare tutto ciò che mina alla radice i lineamenti più veri di ognuno di noi. Abbiamo incontrato persone capaci di riconoscere che la salvezza non passa attraverso chissà quali strategie di potere ma attraverso un diverso modo di stare sulla terra, di vivere i nostri rapporti. L’incontro con quelle persone ci ha fatto comprendere che a vincere non è l’arroganza ma l’umile apertura del cuore; non la violenza dei gesti o delle parole ma un tratto mite; non la durezza ma la misericordia; non l’ambiguità ma la coerenza. Questo è ciò che restituisce felicità al nostro vivere sulla terra, anche se è una felicità a caro prezzo. A volte persino quello della stessa esistenza.
Quando siamo tentati di credere che Dio ci abbia lasciato in balia di chissà quale cieco destino, dobbiamo imparare a guardare la storia dalla prospettiva di questo stile. Finché si troverà anche uno soltanto che vive così è il segno che Dio ancora una volta avrà detto: non devastate né la terra né il mare…
Trovo che quella odierna sia una delle feste più belle. Festa che ci riguarda da vicino più di quanto possiamo immaginare: è la festa che ci invita a mettere in luce (non già per vanto infantile) quei momenti in cui noi stessi siamo stati frammenti di speranza per qualcuno. Anche noi abbiamo vissuto momenti in cui abbiamo provato a fare nostro il sogno di Gesù e, nel segreto del nostro cuore, abbiamo toccato con mano che la più grande esperienza di felicità trova il quel sogno la sua sorgente cristallina.
Concludo con una preghiera:
“Rendimi fedele, Signore,
a questo filo di speranza
e a questo minimo di luce
sufficienti per cercare.
Rendimi fedele, Signore,
a questo vino del tuo calice
e a questo pane quotidiano
sufficienti per campare.
Rendimi fedele, Signore,
a questo briciolo di allegria
e questo assaggio di felicità
sufficienti per cantare.
Rendimi fedele, Signore,
al tuo nome sulle labbra,
a questo grido della fede
sufficienti per vegliare.
Rendimi fedele, Signore,
all’accoglienza del tuo Soffio,
a questo dono senza ritorno
sufficienti per amare” (Sr. Marie-Pierre di Chambarand)
Nella misura in cui saremo fedeli al “piccolo”, al “tenue”, all’”insignificante”, credo ci sarà dato di gustare una primizia di felicità.