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A TRE ANNI DALLA SUA SCOMPARSA… PER NON DIMENTICARE

La bandiera ammainata della nostra stazione dei Carabinieri, il capo chino di tutti noi, il silenzio rotto soltanto dal rumore delle moto degli amici, dicono la gravità dell’ora presenta.

18 anni. 18 anni appena. La vita di Marco è stata strappata repentinamente e barbaramente in un tranquillo giorno di mezz’agosto. Una morte sopraggiunta non per chissà quale bravata fatta con la sua moto: oserei dire, piuttosto, una morte avvenuta per eccesso di prudenza. Avrebbe potuto percorrere l’autostrada e, invece, aveva scelto la statale.

Le nostre lacrime, oltre alla vicinanza a Tonino e Biancarosa, a Maria Carmela, Rosanna ed Eugenia, manifestano anche sentimenti contrastanti: sconcerto, incredulità, amarezza, smarrimento, rabbia, delusione.

Com’è possibile che un pezzo di ragazzo bello come il sole abbia dovuto concludere i suoi giorni così in fretta e così drammaticamente?

Una parola è risuonata dentro di me quando mercoledì, poco dopo l’una, dopo aver sentito Biancarosa al telefono, mi sono infilato in macchina per raggiungere Lagonegro. Si tratta della parola rivolta a Gesù da Marta a Betania, dopo la morte del fratello: “Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. La morte è per noi una maledetta intrusa che s’intrufola per carpire quanto hai di più caro, la vita.

Perché il Signore non è intervenuto? Perché non ha fatto sì che gli eventi avessero tutt’altro corso? Non fatichiamo a riconoscerci nelle parole che uno dei personaggi di Dostoevskij ripete: “Se per vedere lo spettacolo dell’armonia cosmica, bisogna anche sopportare la sofferenza dei bambini, restituisco il biglietto”. Oh sì, talvolta vorremmo davvero restituire il biglietto. Il dolore, infatti, porta alla luce tutta la nostra delusione. Delusa, la ragione si arrende a volte con rancore a volte con discrezione: la morte sembra l’irremovibile scoglio su cui si infrangono tutte le speranze umane.

Alla ragione che cerca risposte senza trovarne, subentra la fede, quella che ci fa riconoscere che la vita di Marco non si è arrestata per sempre mercoledì scorso. A Marta che contesta dicendo: “Se tu fossi stato qui…”, Gesù fa capire: “Ma io sono con te, sempre”. Marco non è morto da solo: la nostra fede ci fa riconoscere che “sia che viviamo sia che moriamo, noi siamo del Signore”.

Le parole umane non servono, non leniscono il dolore. Abbiamo bisogno delle parole di Dio, le uniche che ci aiutano ad alzare un tantino il velo della realtà che abbiamo davanti per scorgere un diverso modo di leggere le cose. Noi misuriamo la pienezza della vita per il numero degli anni e per gli obiettivi raggiunti. Non così il Signore: “Vecchiaia veneranda non è longevità né si calcola dal numero degli anni”. Ci sono ragazzi – Marco tra questi – che hanno raggiunto una incredibile sapienza, ossia il modo giusto di guardare le cose, come ci sono adulti che, pur vantando una età anagrafica ragguardevole, non la ottengono mai.

“Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. Siamo stati plasmati da quelle mani quando abbiamo visto la luce; siamo custoditi da quelle mani; siamo accolti da quelle mani. Gesù ci assicurerà che nessuno può rapirci dalla sua mano.

“La loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro dipartita da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. In noi, in ciascuno di noi c’è qualcosa che va oltre quello che riusciamo a cogliere con i nostri occhi, oltre quello che tocchiamo con le nostre mani. C’è qualcosa che quotidianamente ci sospinge e ci affascina, ci avvolge e ci rende inquieti: non siamo forse alla ricerca d qualcosa che è sempre più grande? Quella che a noi sembra soltanto una terribile sciagura, la Parola di Dio la legge così: “essi sono nella pace”. Marco è nella pace, è in ciò che ciascuno di noi più desidera anche se talvolta non sa neppure di esserne alla ricerca. La vita di Marco è ora nascosta con Cristo in Dio.

Anche la morte di Gesù fu letta solo come una sciagura, una inutile sciagura: eppure sappiamo che cosa è scaturito per noi da quella morte. È da quella morte che noi oggi rileggiamo la morte di Marco e tutte le nostre morti.

“Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell’amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti”. È questa l’ora della fede, la virtù che si manifesta quando più grande è la tenebra e forte la tentazione di ripiegare in una lettura solo cronachistica degli eventi. Faremmo un torto alla nostra fede, faremmo un torto a Marco se ci fermassimo alla cronaca di quell’indimenticabile 17 agosto.

Marco lascia a tutti noi una inestimabile eredità, non fatta di cose, di oggetti o di ricordi dei momenti condivisi insieme. Il suo volto aveva una luce non comune, il suo sguardo era sempre radioso: c’era in lui una serenità che sembrava attingesse da chissà quale sorgente. A tratti, per la sua esuberanza e vitalità, sembrava uscito da un film fantasy. Era uscito dalla fantasia di Dio, dall’estro di Dio questo ragazzo burlone.

Quando lo vedevo, riandavo con la mente al giudizio espresso da Gesù su un giovane che noi abbiamo poi imparato a conoscere come l’apostolo Bartolomeo. Vedendolo, un giorno Gesù disse di lui: “Ecco un uomo in cui non c’è falsità”. Ecco chi era Marco, un ragazzo limpido, trasparente, semplice. Ma la parola semplicità pare venga dal latino “sine plica”, senza pieghe. Le pieghe coprono, nascondono. No, Marco non aveva pieghe. Credo di non esagerare se annovero Marco tra quelli che Gesù chiamava “puri di cuore”.

Insieme alla sua trasparenza Marco lascia la sua tenacia, la sua intraprendenza. Solo lui avrebbe potuto sobbarcarsi il sacrificio di fare da pendolare fino a Potenza per cinque anni tutti i giorni per conseguire il diploma che ha ottenuto pochi mesi fa.

Lascia, ancora, il suo essere burlone, appunto, la sua voglia di ridere, di scherzare, di sdrammatizzare.

Lascia, infine, la sua bontà. Quando sono giunto all’obitorio, Biancarosa abbracciandomi mi ha detto: “padre Antonio, se n’è andato il gigante buono”. Davvero: la sua bontà era commisurata alla grandezza della sua statura. Biancarosa, Tonino, Maria Carmela, Rosanna, Eugenia: il gigante buono è andato via solo fisicamente. Credo si possano applicare ora a Marco le parole che Teresa di Lisieux, morta a soli 24 anni, ebbe a dire prima di spirare: “Voglio passare il mio cielo a fare del bene sulla terra”.

Marco, passa il tuo cielo a far del bene a tutti noi.