C’è uomo e uomo e c’è modo e modo di affrontare l’esistenza. Questo ci annuncia oggi l’evangelista Lc il quale, proprio prima dell’episodio delle tentazioni ha narrato la lunga genealogia di Gesù che lo fa risalire al primo uomo, Adamo. Il primo uomo, pieno di sé, preferì perseguire la strada dell’affrancamento da Dio e dai suoi precetti. Il secondo uomo, pieno di Spirito Santo, vive, invece, in abbandono obbediente a questa azione. Chi opera, chi parla, chi ama è Gesù ma guidato dallo Spirito.

C’è uomo e uomo, dunque. C’è l’uomo che confida sulle sue sole forze e, perciò, ritiene che tutto sia opera solo delle sue mani e c’è il vero uomo che non ha paura di accogliere la presenza del solo che conosce i segreti di Dio.

L’esperienza che più mette a nudo ciò che ispira parole e gesti è proprio quella della prova, quando, cioè, siamo chiamati a misurare lo scarto tra quello che noi pensiamo, le nostre profonde convinzioni e il gioco delle convenienze. La prova, infatti, e il modo in cui la si attraversa, rivela chi e cosa anima i nostri pensieri e orienta le nostre scelte.

Non poche volte, la prova è il momento in cui si arriva a credere che sia terra promessa l’Egitto da cui si era stati liberati e, per questo, finisce per essere vissuta nella ribellione. Il nuovo Adamo, invece, vive la prova nella certezza di essere sostenuto dalla presenza e dall’amore del Padre. Gesù non ha come unico scopo quello di soddisfare i suoi bisogni primari finendo, così, per divorare ogni cosa. Perché il digiuno e l’astinenza se non per imparare a creare la giusta distanza tra noi e le cose? Il digiuno (non solo quello dal cibo ma anche da tutto ciò che crea in noi dipendenza) aiuta a non assolutizzare niente e nessuno. Perché il deserto se non per imparare a distinguere le diverse voci che ci abitano?

Ed eccolo Gesù, proprio come ogni uomo, misurarsi con l’aspra lotta tra resistere al diavolo (che non può fare nulla senza la nostra libertà) e arrendersi a Dio (che nulla vuol fare senza la nostra libertà).

Ciascuno di noi, per vivere, consuma energie e, perciò, sperimenta la fame, ha bisogno di nutrirsi. Un cibo vale l’altro? E a che prezzo? Anche il nostro uomo interiore sperimenta questo bisogno. Chi di noi non ha fame di bellezza, di serenità, di benessere, di riconoscimento, di pace, di amore? Ma come ottenere tutto ciò? Attraverso quali strade?

Anche Gesù, quando ha provato i morsi della fame, è stato tentato da satana a provvedervi superando le leggi naturali e a disporre a suo piacimento delle sue prerogative divine. E, tuttavia, proprio in quel frangente, Gesù ha ricordato a satana che è pura follia credere che ci si possa saziare unicamente con le cose di cui disponiamo abitualmente. Solo un cuore che desidera ciò che Dio ama è in grado di dare un senso alla fame più vera che c’è nel cuore dell’uomo. La tentazione si supera solo quando si è in grado di circoscrivere il bisogno, di non assolutizzarlo e di non cercare una soddisfazione immediata. Il pane va guadagnato con il proprio impegno: esso non è un obiettivo da raggiungere con ogni mezzo. Il problema non è cambiare le cose ma cambiare il cuore con cui si accostano le cose.

Poi satana lo mette a contatto con la possibilità di garantire la sua realizzazione personale e accedere alla felicità mediante una vera e propria scalata al potere che, tuttavia, ha un prezzo: quello di sottomettersi a lui. Quante volte crediamo di superare la nostra debolezza attraverso l’uso della violenza o manipolando le relazioni per il proprio interesse! È vero: non poco del potere esercitato è conquistato con metodi machiavellici, non pochi dei risultati raggiunti sono frutto di un vero e proprio patto con il diavolo. Si tratta dell’idolatria che arriva a considerare Dio ciò che non lo è. È una strada senza uscita, risponde Gesù, inseguire il successo umano facendosi valere e abdicando impunemente alla propria dignità. La tentazione si supera rinunciando al tutto e accettando la condizione del limite propria dell’uomo. L’altro non è mai qualcuno di cui approfittare, neppure per una finalità buona.

L’ultima occasione per mettere alla prova Gesù è quella di tentarlo a proposito di come garantirsi il bene della vita, come assicurarsi l’esenzione dalla morte. Se da prova del suo potere in modo spettacolare potrebbe assicurarsi finalmente consenso e popolarità. Perché non chiedere a Dio un segno della sua vicinanza? Dal momento che il Figlio ha scelto la strada dell’onestà, senza cavalcare il potere, di certo Dio non gli negherà la sua benevolenza. La tentazione si supera accettando il limite della propria corporeità. Usare le mani di Dio o mettersi nelle sue mani?

È spontaneo tutto ciò che misura il nostro limite e acclara la nostra debolezza. Forse che non ci lamentiamo per ciò che è memoria della nostra incapacità ad attraversare certi guadi? Tuttavia, non altra è la strada che ci porta a conoscere la verità di noi stessi. È solo l’accoglienza umile della debolezza è l’ingresso nella conoscenza di Dio.

Proprio nell’estrema debolezza dello stato di peccato conosciamo veramente noi stessi mentre restiamo stupiti dell’infinito amore di Dio che ha cura di noi che non poche volte lo rifiutiamo.

Ben a ragione è stato scritto che “quando per formare il “santo” si danno dei colpi incompetenti che distruggono l’umano, non si crea né il santo né l’uomo, ma un povero essere mutilato”

Ogni tentazione può essere vinta solo se non si abdica alla propria umanità pensata come immagine e somiglianza di Dio. Mi basta?