https://www.youtube.com/watch?v=qwthno5ccyc Era rimasta sola la ragazza di Nazareth. L’angelo, annota Lc, una volta ricevuta la risposta di Maria, se n’era andato. E lei, per tutta risposta, verosimilmente dopo aver condiviso il suo segreto con Giuseppe, eccola dirigersi verso la casa della sua anziana parente di cui aveva appreso di essere in stato interessante. “Alzatasi, raggiunse …

Era rimasta sola la ragazza di Nazareth. L’angelo, annota Lc, una volta ricevuta la risposta di Maria, se n’era andato. E lei, per tutta risposta, verosimilmente dopo aver condiviso il suo segreto con Giuseppe, eccola dirigersi verso la casa della sua anziana parente di cui aveva appreso di essere in stato interessante.

“Alzatasi, raggiunse in fretta”, così precisa Lc. Sulla fretta e sul perché di quel viaggio tanto si è scritto. Il motivo, però, è da ricercarsi nel fatto che quando Dio parla non lascia inerti. Paolo lo esprimerà molto bene quando affermerà che “l’amore di Cristo ci spinge, ci sostiene”. Quando Dio lambisce la terra, nulla è più come prima. La fretta di Maria non ha nulla a che vedere con il tempo accelerato. Essa è piuttosto una dimensione del cuore. La parola greca, infatti, esprime diligenza, premura, entusiasmo. Lei porta in grembo un Dio pellegrino che anticipa gli uomini creando incontri inaspettati.

Avendo accolto e fatto sua la parola dell’angelo, Maria è costituita profeta, cioè è chiamata ad annunciare a chi incontra in che modo Dio legge la storia e gli uomini. Il Magnificat che proromperà dalla sua bocca non è altro che la rilettura di come Dio guida le vicende umane. E solitamente non opera gesti eclatanti ma agisce nei cuori dei singoli in modo silenzioso. L’opera di Dio è sempre un bisbiglio, non un urlo, e i bisbigli li si ode solo se si sceglie di far silenzio, se si è disposti a mettere da parte ciò che ostacola la comunicazione e ci si ritira da pensieri e parole inutili. Quello di Dio resta sempre un suggerire perché proprio dell’amore è alimentarsi della libertà dell’amato non già del suo costringerlo: “il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione” (Lc 17,20).

Chi è il Dio delle due donne della visitazione?

È un Dio che non bada all’età cronologica: il suo progetto coinvolge tanto una ragazza quanto un’anziana. L’anagrafe non conta per essere ascritti al suo servizio. Più avanti verrà detto che c’è tempo persino nell’ultimo minuto della vita, come accadrà al buon ladrone. Inoltre, in un tempo in cui la maternità era costitutiva dell’identità di una donna, chiamandole a generare un figlio, egli toglie il velo di quel complesso d’inferiorità che la società stendeva su di loro. Elisabetta usa un’espressione forte: Dio “toglie la vergogna”. Dio consola, riabilita. Oggi non è più il non essere madre a far problema ma quanti altri pregiudizi e quanto perbenismo costringe non poche persone ai margini del vivere sociale e religioso!

Il Dio di Maria ed Elisabetta riscatta proprio coloro che l’agenda umana non contempla e, perciò, vorrebbe eliminare. Egli è “l’amante degli invisibili”: consola e libera, visita e abilita, tocca e invia. La consolazione di Dio non si limita ad asciugare le lacrime ma spinge ad andare, ad abbandonare i luoghi in cui l’indifferenza degli uomini vorrebbe recludere. È per questo che Maria parte ed Elisabetta è pronta ad accogliere nell’attesa prima e nell’incontro poi: “i primi saranno ultimi e gli ultimi primi”.

“Dio ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione” (2Cor 1,2-4).

Il Dio di Maria ed Elisabetta è un Dio che chiede un “corpo”, una vita concreta per raggiungere ogni uomo. “La mia anima non è me stesso”, dirà san Tommaso d’Aquino. Il corpo è il tramite per entrare in relazione, per amare, per accogliere, per generare vita.

“Non hai voluto né sacrifici né olocausti, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: ecco, io vengo per fare la tua volontà”. Una vita concreta che profuma di vangelo.

Quasi alla vigilia del Natale, la liturgia ci consegna due punti prospettici da cui accostare il mistero santo di Dio: un luogo, Betlemme, e due donne. Il primo è la cifra della marginalità e dell’irrilevanza che Dio prende a prestito per venire in mezzo a noi, il secondo quello della impossibilità, una vergine e una sterile. E noi in mezzo, a decidere se accogliere o meno che Dio venga per la via dell’umanamente irrilevante e per quella dell’umanamente impossibile.