Mancava poco ai giorni che avrebbero segnato un vero e proprio sconvolgimento. Mancava poco a quella che poteva essere letta come la fine del mondo: il Signore e Maestro sarebbe stato sottratto cruentemente alla vista dei discepoli. C’era di che tremare, c’erano tutti i motivi per cadere in preda all’ansia. Tanti non avrebbero retto, come poi è accaduto realmente. Che cosa sarebbe accaduto se persino gli astri che sono il segno della fermezza, della costanza e della solidità venivano meno?
Sarà così anche per la distruzione del tempio e della città santa da parte dei Romani qualche anno dopo. Tutto ciò che rappresentava il segno identitario di un popolo sarebbe stato annientato e i più non sarebbero stati capaci di attraversare quella grave calamità provando a leggerla non come l’ultima parola ma come un invito a costruire una identità nuova.
Sarà così per tanti eventi che nel corso dei secoli determineranno un prima e un poi senza soluzione di continuità.
Penso anche a questi nostri giorni: qualcuno parla giustamente non tanto di un’epoca di cambiamenti quanto di un vero e proprio cambiamento d’epoca. In pochi anni abbiamo assistito a cose che neppure avremmo immaginato: un papa che si dimette, quello che gli succede subisce attacchi come mai era accaduto prima proprio all’interno della Chiesa stessa.
Tutto sembra vacillare: non abbiamo più valori di riferimento, le sicurezze scricchiolano, tutto ciò che fino a ieri sembrava indistruttibile non lo è più, le certezze vengono meno, la fede traballa, la famiglia mostra tutta la sua vulnerabilità, gli interessi di parte si gonfiano, i valori etici si relativizzano, si diffondono ambiguità. Inutile girarci attorno: qualcosa si è rotto dentro di noi, anzitutto.
È la fine del mondo o la fine di un mondo?
È a questo che il Signore Gesù vorrebbe preparare i suoi di allora e quelli di ogni tempo: a saper leggere nelle pieghe contraddittorie della storia, il dipanarsi discreto, a tratti persino irrilevante immediatamente, del disegno di Dio.
Chi avrebbe scommesso che la morte del Figlio sarebbe stata soltanto un momento attraverso il quale gustare l’esperienza della risurrezione?
È per questo che ogni anno torna l’Avvento, per imparare a cogliere il senso della storia non a partire dalla semplice successione cronologica (sarebbe soltanto cronaca, appunto) ma a partire dal suo compimento e dalla sua piena realizzazione che avverrà quando ciascuno comparirà davanti al Signore. Conoscere la meta significa imparare a discernere quale percorso conduce a quell’approdo: un percorso non vale l’altro. La meta dell’Avvento, perciò, non è il Natale ma la Pasqua.
Ci sono eventi che più di altri palesano la nostra maturità. Ci sono situazioni che più di altre rivelano la nostra consistenza. Per questo, di fronte allo stesso fatto è possibile reagire con paura o con speranza, con angoscia o con fiducia, con rassegnazione o con impegno. Come mai questa diversa reazione? Come mai uno stesso fenomeno può produrre ansia in alcuni e capacità di mettersi in gioco in altri?
La vita dipende da te, da ciò che il tuo cuore è in grado di ospitare, da ciò che i tuoi occhi sono in grado di intravvedere, da ciò che i tuoi passi riescono ad affrettare e da ciò che le tue mani riescono a portare a compimento.
Dipende da me vivere le situazioni come un incontro e, perciò, un’opportunità oppure come la distruzione di ciò che finora ho vissuto.
Dipende da me, dalla qualità della mia preghiera: è solo la preghiera, infatti, a farmi scorgere la luce nelle tenebre, il progetto nella disarmonia, la speranza mentre sembra prevalere l’angoscia. Vegliare e pregare è l’unico modo per restare in vita e per esercitare la propria responsabilità. La preghiera non altera le situazioni ma permette di attraversarle senza perdere di vista l’oltre, la meta, il senso.
È un po’ quello che accade al piccolo Pepinot del film “Les Choristes”, il più piccolo del collegio, sempre messo sotto pressione da tutti i compagni.
Pepinot è in collegio ed è orfano ma lui, come tutti i suoi compagni di scuola aspetta sabato anche quando non è sabato, resta per delle ore sul cancello in attesa della mamma e del papà che non verranno mai, eppure lui attende anche se tutti gli dicono che è inutile, che perde tempo ad aspettare…ma un giorno arriva qualcuno che si ferma a guardarlo e semplicemente fa una domanda:
“Ciao, sei solo? – sì.
Che ci fai lì? – Aspetto sabato.
Ah. E perchè? – Il mio papà mi viene a prendere.
Però non è sabato oggi…”.
Lui aspetta sabato…sabato….
Io chi aspetto? Cosa aspetto? Come aspetto?