Nella sua lunga carriera non gli era mai capitato un caso simile. Eppure, Pilato, di persone ne aveva condannate e assolte a decine da uomo spietato e corrotto qual era. Colui che ha dinanzi non solo è una persona innocente (“non trovo nulla di male in quest’uomo?”, continua a protestare nei confronti di chi ha già emesso la sua sentenza), ma è l’unica che non si limita a rispondere affermativamente o negativamente. Quell’uomo pone domande – e che domande! – tanto che le parti si rovesciano e Pilato si ritrova in preda alla paura: “all’udire queste parole Pilato ebbe ancor più paura” (Gv 19,8). Può mai un giudice temere l’imputato? Eppure…

Quell’uomo da nulla quale deve essere parso ai suoi occhi Gesù, per quanto legato, era l’uomo più libero che avesse mai incontrato. Mai un condannato lo aveva affrontato con la bellezza dei modi, l’eleganza dei gesti, la lucidità dello sguardo. Di fronte a un uomo così padrone di sé, Pilato non può non essere sorpreso. E vorrebbe salvare quella pacatezza così autorevole in un contesto che, invece, è abituato a fare scialo di violenza, prevaricazione. Che razza di re sei tu, Gesù? Da dove ti viene questa capacità di affrontare la derisione e l’abbandono senza impugnare arma alcuna?

Pilato è tra due fuochi: vorrebbe dar retta al racconto del sogno fatto da sua moglie e al contempo non vorrebbe disattendere ciò che reclama la folla; lo inquieta ciò che quell’uomo rappresenta e quanto testimonia ma sente di non poter rinnegare il suo ruolo di rappresentante di Tiberio.

Dici questo da te? gli domanda Gesù. Se è vero che Pilato vorrebbe scagionare Gesù, in realtà è Gesù a voler salvare Pilato quando lo invita a guardarsi dentro e a dirsi se è davvero libero di decidere secondo ciò che il suo cuore ispira. La paura di mettersi a nudo ha ancora una volta la meglio e così finisce per puntare sul ruolo più che sulla sua identità.

Se solo, Pilato, avesse acconsentito a lasciarsi toccare fino in fondo da quella verità di cui Gesù è non solo testimone ma incarnazione! Sarebbe bastato permettere all’amore di Dio di toccare il suo cuore come di lì a poco accadrà al ladrone dell’ultima ora che strapperà in un nanosecondo quello che Pilato, invece, non ha voluto cogliere convinto che per accedere al compimento di una esistenza si debba combattere, distruggere, uccidere, imporsi.

Quid est veritas? Chiede Pilato a Gesù. Vir qui adest, si può anagrammare. La verità è l’uomo che hai davanti a te il quale, con i suoi modi, ti sta rivelando la preziosità e l’unicità della tua persona. Poco dopo, quando non potrà fare altro che consegnare Gesù alla folla, mai parole saranno più appropriate: ecce homo. Uno così, questo è l’uomo. Per meno di così non si è uomini. La verità non è un’astrazione o una cosa. La verità è una persona, la Persona guardando la quale noi tutti siamo stati pensati, voluti e creati. Ecco perché accogliere Gesù non è senza conseguenze: Cristo l’uomo all’uomo svela. Se voglio comprendere la verità della mia esistenza, devo ascoltare lui: “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Quando questo non accade è la menzogna, è l’inganno.

Per questo Gesù non risponderà alla domanda di Pilato, perché la risposta è lì davanti a lui, nel modo in cui Gesù sta affrontando quella passione per amore dei tanti Pilato che preferiranno tirarsi fuori dalla mischia piuttosto che lasciarsi raggiungere da quella testimonianza.

La storia non si è conclusa quel giorno. Tante sono le circostanze in cui ci viene chiesto dal Pilato di turno: “Dunque, tu sei re?”. Nel Battesimo, tutti siamo stati costituiti sacerdoti, re e profeti. Come si esprime la nostra regalità? Mediante l’esercizio della responsabilità. Siamo re tutte le volte in cui esercitiamo il nostro compito di custodi che si prendono cura e fanno crescere coloro che il Signore ci affida.