A scuola di bellezza… Ecco dove ci accompagna oggi la pagina evangelica da noi conosciuta come la pagina del “buon pastore”. In realtà sulle labbra di Gesù l’aggettivo usato non è “buono”. Gesù dice di sé di essere il pastore “bello”. La bellezza di cui parla e alla cui scuola ci intrattiene, ha nulla a …

A scuola di bellezza…

Ecco dove ci accompagna oggi la pagina evangelica da noi conosciuta come la pagina del “buon pastore”. In realtà sulle labbra di Gesù l’aggettivo usato non è “buono”. Gesù dice di sé di essere il pastore “bello”. La bellezza di cui parla e alla cui scuola ci intrattiene, ha nulla a che vedere con i nostri canoni estetici secondo cui alcuni sarebbero esclusi.

Di quale bellezza parla Gesù a noi che patiamo il precario nomadismo della nostra condizione umana e non poche volte siamo vittime e protagonisti di un abbruttimento che fa paura? Della bellezza di un rapporto in cui tu non diventi mai merce di scambio come potrebbe essere per un mercenario. Quanti entrano nella nostra vita perché magari hanno fiutato l’affare! Quanti scompaiono nel nulla una volta ottenuto ciò per cui avevano accettato di farsi avanti! Quanti fanno la spola interessati come sono a illudere e perciò sempre pronti a dileguarsi di nuovo!

La bellezza di cui parla Gesù e che lo fa diventare unico, è quella che offre la garanzia di una custodia a oltranza e una intimità a prova di voce. È una bellezza che ha le sue radici altrove, nel suo rapporto con il Padre, i cui frutti si manifestano in una consegna di sé che ha tutti i tratti della passione. Non dimentichiamo che il Gesù che sta parlando così di sé, è un Gesù in procinto di morire pur di non ricusare i lineamenti di questa bellezza.

La bellezza di cui egli parla è quella propria di chi è consapevole che tutto quanto è perso per amore conosce misteriose vie di conservazione: non andrà mai perduto. È la bellezza di un rapporto in cui a rassicurarci è non poche volte il solo suono della sua voce. Non è forse così nel nostro rapporto con la figura materna? Al bambino basta sentire il suono della sua voce per farlo dormire sereno.

La bellezza di cui parla Gesù è quella di chi vive i rapporti in termini di appartenenza e non di possesso, di intesa e non di prevaricazione, di rispetto e non di sopraffazione, di custodia e non di disinteresse.

La bellezza di cui parla Gesù è quella espressa in termini di cura per chi conosce l’esperienza della fragilità e del limite, è la bellezza di un Dio che non dorme di notte se un uomo non è al sicuro.

È vero: non c’è altro nome in cui è possibile essere salvati se non nel nome di Gesù. Ma cosa può voler significare oggi? Che a salvarci è uno stile di vita come il suo: questa è la bellezza che salverà il mondo. La bellezza che salva il mondo è l’amore che condivide il dolore.

È strano: noi viviamo in un mondo che ha fatto della bellezza il suo idolo e tuttavia non conosce la bellezza perché tutto misura secondo i canoni dell’utile, del vantaggioso, del tornaconto. Abbiamo bisogno di riapprendere ed educarci ad altri criteri, abbiamo bisogno di rimettere a tema il gratuito e il per sempre.

“Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole… bisogna irradiare la bellezza di ciò” che ha sedotto il nostro cuore.

Sono tante le circostanze che piombano addosso a noi proprio come un lupo in agguato, in cerca di preda. Si tratta di circostanze conflittuali, dolorose rispetto alle quali i legami umani dell’amicizia e dell’affetto sembrano vacillare. In quei frangenti il rischio è quello di provare a salvare se stessi abbandonando gli altri al loro destino. Non è forse un momento simile quello che stiamo attraversando a livello sociale? La bellezza di cui parla Gesù è quella di chi, proprio in un frangente in cui tutto sembra vacillare, non fugge perché qualcosa vale più della vita: il suo legame con Dio e il suo legame con i fratelli. Sono questi frangenti che inverano la solidità di tante parole pronunciate in un momento in cui avevamo riconosciuta come degna di fede la parola del vangelo.

La verità di un rapporto, la forza di un legame è misurata solo quando su di esso si addensa una nube oscura. Nulla di noi è vero se non ha conosciuto la purificazione di quel crogiuolo.

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Dal Vangelo secondo Giovanni 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse:
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».