Contesto Dopo l’episodio della Trasfigurazione, Gesù ha preso la ferma decisione (“indurì il volto” Lc 9,52) di dirigersi verso Gerusalemme. Sta formando i suoi a divenire partecipi della sua stessa vicenda e perciò li invita a prendere sul serio la conversione non più differibile. Per tutto il capitolo precedente Gesù ha puntato il dito sulla …

Contesto

Dopo l’episodio della Trasfigurazione, Gesù ha preso la ferma decisione (“indurì il volto” Lc 9,52) di dirigersi verso Gerusalemme. Sta formando i suoi a divenire partecipi della sua stessa vicenda e perciò li invita a prendere sul serio la conversione non più differibile. Per tutto il capitolo precedente Gesù ha puntato il dito sulla necessità della vigilanza a partire da “questa notte stessa” (12,20), “nell’ora che non pensate” (40), “nel giorno in cui meno se l’aspetta e in un’ora che non sa” (46), per finire con un “come mai questo tempo (kairòs) non sapete giudicarlo? (56).

Ciascuno di noi dispone di un tempo (kronos) fatto di anni, mesi, giorni. Il rischio è quello di registrarlo solo come una successione di momenti (cronologica, appunto), senza far sì che esso diventi l’occasione propizia (kairos).

Il brano in questione è diviso in due parti: nei vv. 1-5 Gesù esprime il suo parere circa due eventi di cronaca nera, negli altri vv. narra una parabola che ricorda l’azione paziente del contadino che vuol salvare a tutti i costi un fico che non dà frutti.

 

 

Testo

Aveva appena finito di invitare i suoi a discernere i segni dei tempi, quando viene raggiunto da alcuni che chiedono un suo parere circa due fatti di cronaca accaduti proprio in quei giorni: uno riguardava ciò che Pilato aveva fatto nel tempio per reprimere in modo sanguinoso una protesta e l’altro il crollo della torre di Siloe che aveva provocato la morte di diciotto persone. Due fatti di cronaca con responsabilità diverse: il primo era un atto voluto, il secondo dovuto a circostanze fortuite.

 

Le facili contrapposizioni

Per quanto riguarda il riferimento alla sommossa sedata con la violenza emerge, da parte degli interlocutori, come un invito rivolto a Gesù perché dica da che parte sceglie di porsi: Pilato o le vittime? Il discernimento non è scontato. Tuttavia, Gesù persegue tutt’altra strada: non si pone in concorrenza con un potere buono contro il potere cattivo. Gesù non sceglie il potere ma il servizio, il dono di sé, l’accoglienza fraterna nei confronti di chiunque. Si tratta di una alternativa non da perseguire all’esterno stabilendo chi è per noi e chi non lo è, chi è buono e chi è cattivo: il giudizio va operato dentro di noi. Per questo è necessario un cambio di mentalità, una vera e propria conversione. Io cosa scelgo? Gesù non si schiera dalla parte delle vittime, come forse avremmo immaginato: paradossalmente, infatti, il peccato dei galilei è sulla stessa linea di quello di Pilato

 

 

Gli eventi

Per gli ebrei la malattia e la morte erano da leggere come un segno della maledizione divina e perciò come punizione per un peccato commesso. Maggiore la sofferenza più grande la colpa. Per contro, quando la vita ti risparmia determinate fatiche è il segno che sei una persona a posto.

Gli eventi della storia, quali che siano, non interpellano il giudizio del cristiano ma la sua fede.

Gesù stabilisce subito la giusta lettura delle cose smarcandosi dall’esprimere un giudizio sulla colpevolezza o meno delle persone coinvolte. Non c’è un’assoluzione nei loro confronti ma riconosce che di certo non erano più peccatori di tutti gli altri Galilei come dei suoi interlocutori stessi, come pure, i diciotto malcapitati sotto il crollo della torre non erano più peccatori di tutti gli abitanti di Gerusalemme. I fatti, quindi, non possono essere letti come conseguenza di un castigo di Dio.

Il male non è qualcosa di estraneo a noi: se ci guardiamo in profondità scopriamo una costitutiva connivenza con esso. “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia” ci ricorda Paolo (Rm 3,23). Proprio il peccato è il luogo della salvezza.

 

Sono passati duemila anni da simili episodi e conseguenti letture ma non ci siamo distanziati affatto dalla medesima interpretazione. Infatti, anche sulle labbra di noi che pure ci professiamo cristiani, ritorna spesso l’espressione: “Che cosa ho fatto di male per meritare tutto questo?”. Una simile espressione sottintende un dio giustiziere che attende il momento opportuno per farci pagare qualche conto inevaso.

È davvero questo ciò che Dio vuole?

“Io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua malvagità e viva” (Ez 33,11).

“Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1Ts 5,9).

Gesù propone un modo diverso di leggere la tragicità di quegli eventi. Proprio la morte improvvisa delle persone coinvolte in quegli incidenti richiama l’urgenza della conversione. La rovina nasce dal negarsi la relazione con un Padre misericordioso, la salvezza, invece, sta nell’accoglierlo.

Per ben due volte torna questo appello: se non vi convertite…

Gesù chiama ad un cambiamento di rotta e a un mutamento di mentalità. La decisione della conversione, infatti, matura quando l’uomo prende coscienza del suo allontanarsi da Dio e della necessità di far ritorno a lui.

Il tempo che ci è donato, poco o tanto che sia, è dono fatto da Dio come occasione per riconoscere la sua visita nei vari eventi dell’esistenza così da portare il frutto atteso. Il tempo è sempre tempo della misericordia e del perdono come ricorda la parabola del fico sterile.

 

Ancora un anno…

Il Battista, annunciando la venuta del Messia, aveva esortato tutti a “portare frutti degni della conversione” (Lc 3,8). Lo stesso Gesù aveva riconosciuto che “l’albero si riconosce dal suo frutto” (Lc 6,44). Chi è dunque questo fico? Chi rappresenta? Il fico è ciascuno di noi. Dio viene a raccogliere i frutti degni dell’opera che egli stesso ha compiuto verso di noi nell’offrirci tutte le occasioni perché ciascuno potesse maturare secondo le proprie capacità. E cosa accade? Accade che viene e non trova nulla e questo per tre anni. Il padrone che viene a cercare i frutti non è da vedere come uno che viene a spremere ma come uno che cerca corrispondenza tra attenzione e fecondità: desidererebbe vedere qualcuno all’altezza della cura ricevuta. Sarà Gesù, il Figlio, a intercedere per noi e a prendersi cura di noi perché, in un tempo rinnovato, possiamo portare il frutto sperato. La misericordia che egli ci elargisce dice di un tempo dilatato per la conversione.

Di fronte all’impossibilità di portare il frutto sperato, non viene prospettata una soluzione magica ma l’assumere su di sé un’ulteriore fatica. È solo la fatica della condivisione che può dischiudere una libera adesione che trasformi le cose dal di dentro

Quando nella sinagoga di Nazaret si era alzato per proclamare il rotolo di Is 61, aveva detto di essere stato inviato per indire “l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,19). È il tempo della pazienza di Dio e del suo perdono iniziato con la venuta di Gesù e che durerà fino alla fine dei tempi, come ricorda Gesù stesso ai due di Emmaus: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (Lc 24,47).

Il nostro tempo fa parte ancora di questo anno di grazia, per questo è sempre un tempo favorevole ed è occasione di salvezza.

Gesù non agisce secondo la prospettiva del Battista il quale annunciava “ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco” (Lc 3,8-9). Egli conosce il nostro cuore e sa che esso necessita di tempo se vuol corrispondere al progetto pensato da Dio. La prospettiva di Gesù è quella del Sal 1:“Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo” (Sal 1,1-3).

Dio ha di mira un unico obiettivo: che corrispondiamo all’immagine secondo la quale siamo stati voluti recuperando la somiglianza perduta. Tutto questo attraverso la conversione. Pertanto nella pedagogia divina, tutto è in vista di questo, tanto le minacce quanto il giudizio, tanto la dilazione del tempo quanto la pazienza.

L’uomo è finalmente maturo quando kronos e kairos coincidono, quando il tempo che scorre, in qualsiasi forma esso si presenti, è vissuto come occasione di salvezza.

 

Se non vi convertite…

La conversione non è mai un obiettivo raggiunto una volta per tutte. La debolezza della nostra condizione non ci è risparmiata, perciò il nostro è uno stato permanente di conversione. Quando non ci si converte qui e ora, si perde il kronos con il suo kairos.

Abba Poemen, in punto di morte disse: “Devo ancora cominciare, avevo appena cominciato a convertirmi”. Come pure Francesco d’Assisi la sera della sua morte: “Cominciamo, fratelli, a fare qualcosa, perché finora ben poco abbiamo fatto”.

La conversione, oltre che essere frutto della nostra volontà e della nostra collaborazione, è opera del divino agricoltore il quale, continuamente, crea nuove opportunità perché l’albero sia fecondo.

“Allora Dio da buon vignaiolo si mette all’opera in prima persona. Zappa il terreno, lo arricchisce con il concime, ci aiuta a diventare quello che siamo già grazie a lui. E anche i suoi interventi, che talvolta potremmo interpretare come avvertimenti, sono colmi del suo amore. Feriscono il mio cuore solo per guarirlo definitivamente con la sua gioia che non ci sarà mai tolta” (Andrè Louf, Beata Debolezza, 46).

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Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
 
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».