SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA
4 maggio 2020
(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)
Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).
Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
Preghiamo
O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato il mondo dalla sua caduta,
donaci la santa gioia pasquale,
perché, liberi dall’oppressione della colpa,
partecipiamo alla felicità eterna.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
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Sal 41-42
Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio.
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
quando verrò e vedrò il volto di Dio?
Manda la tua luce e la tua verità:
siano esse a guidarmi,
mi conducano alla tua santa montagna,
alla tua dimora.
Verrò all’altare di Dio,
a Dio, mia gioiosa esultanza.
A te canterò sulla cetra,
Dio, Dio mio.
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Dal Vangelo secondo Giovanni (10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Per questo mi ama il Padre: perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest’ordine ho ricevuto dal Padre mio».
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A scuola di bellezza
A scuola di bellezza…
Ecco dove ci accompagna oggi la pagina evangelica da noi conosciuta come la pagina del “buon pastore”. In realtà sulle labbra di Gesù l’aggettivo usato non è “buono”. Gesù dice di sé di essere il pastore “bello”. La bellezza di cui parla e alla cui scuola ci intrattiene, ha nulla a che vedere con i nostri canoni estetici secondo cui alcuni sarebbero esclusi.
Di quale bellezza parla Gesù a noi che patiamo il precario nomadismo della nostra condizione umana e non poche volte siamo vittime e protagonisti di un abbruttimento che fa paura? Della bellezza di un rapporto in cui tu non diventi mai merce di scambio come potrebbe essere per un mercenario. Quanti entrano nella nostra vita perché magari hanno fiutato l’affare! Quanti scompaiono nel nulla una volta ottenuto ciò per cui avevano accettato di farsi avanti! Quanti fanno la spola interessati come sono a illudere e perciò sempre pronti a dileguarsi di nuovo!
La bellezza di cui parla Gesù e che lo fa diventare unico, è quella che offre la garanzia di una custodia a oltranza e una intimità a prova di voce. È una bellezza che ha le sue radici altrove, nel suo rapporto con il Padre, i cui frutti si manifestano in una consegna di sé che ha tutti i tratti della passione. Non dimentichiamo che il Gesù che sta parlando così di sé, è un Gesù in procinto di morire pur di non ricusare i lineamenti di questa bellezza.
La bellezza di cui egli parla è quella propria di chi è consapevole che tutto quanto è perso per amore conosce misteriose vie di conservazione: non andrà mai perduto. È la bellezza di un rapporto in cui a rassicurarci è non poche volte il solo suono della sua voce. Non è forse così nel nostro rapporto con la figura materna? Al bambino basta sentire il suono della sua voce per farlo dormire sereno.
La bellezza di cui parla Gesù è quella di chi vive i rapporti in termini di appartenenza e non di possesso, di intesa e non di prevaricazione, di rispetto e non di sopraffazione, di custodia e non di disinteresse.
La bellezza di cui parla Gesù è quella espressa in termini di cura per chi conosce l’esperienza della fragilità e del limite, è la bellezza di un Dio che non dorme di notte se un uomo non è al sicuro.
È vero: non c’è altro nome in cui è possibile essere salvati se non nel nome di Gesù. Ma cosa può voler significare oggi? Che a salvarci è uno stile di vita come il suo: questa è la bellezza che salverà il mondo. La bellezza che salva il mondo è l’amore che condivide il dolore.
È strano: noi viviamo in un mondo che ha fatto della bellezza il suo idolo e tuttavia non conosce la bellezza perché tutto misura secondo i canoni dell’utile, del vantaggioso, del tornaconto. Abbiamo bisogno di riapprendere ed educarci ad altri criteri, abbiamo bisogno di rimettere a tema il gratuito e il per sempre.
“Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole… bisogna irradiare la bellezza di ciò” che ha sedotto il nostro cuore.
Sono tante le circostanze che piombano addosso a noi proprio come un lupo in agguato, in cerca di preda. Si tratta di circostanze conflittuali, dolorose rispetto alle quali i legami umani dell’amicizia e dell’affetto sembrano vacillare. In quei frangenti il rischio è quello di provare a salvare se stessi abbandonando gli altri al loro destino. Non è forse un momento simile quello che stiamo attraversando a livello sociale? La bellezza di cui parla Gesù è quella di chi, proprio in un frangente in cui tutto sembra vacillare, non fugge perché qualcosa vale più della vita: il suo legame con Dio e il suo legame con i fratelli. Sono questi frangenti che inverano la solidità di tante parole pronunciate in un momento in cui avevamo riconosciuta come degna di fede la parola del vangelo.
La verità di un rapporto, la forza di un legame è misurata solo quando su di esso si addensa una nube oscura. Nulla di noi è vero se non ha conosciuto la purificazione di quel crogiuolo.
(don Antonio Savone)
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Riflessione mariana
4 Maggio
Accettare la proposta
Il mistero di Nazareth è il mistero che richiama la generosità di una risposta e la disponibilità a fare spazio contraendosi. Quando l’angelo porta l’annuncio a Maria, non le consegna alcuna garanzia circa il futuro: solo le chiede fiducia nel qui e ora di quella vicenda che non la metterà al riparo da infortuni futuri.
Accogliere il dono della vita non è mai facile, per quanto lo si possa desiderare, ma accogliere il dono della vita del Figlio di Dio, travalica ogni pensiero e ogni possibilità umana. Da capogiro. Se è vero che la presenza di un altro nella nostra vita mette sempre a repentaglio la nostra esistenza, accogliere la vita del Figlio di Dio misura tutta l’inadeguatezza umana: ne sarò capace? Non è un caso che Maria resti turbata a quell’annuncio così destabilizzante.
Accogliere il dono della vita significa disporsi a soffrire: e non perché Maria sarà la Madre del Signore, il peso dei dolori diminuirà. Anzi! Proverà angoscia come ogni madre, conoscerà l’ansia proprio come chi sente che qualcosa gli sfugge di mano. Nessuna semplificazione dell’umano esistere.
L’aver dato credito alla parola del Signore, non le risparmierà l’eventualità di pensare al futuro come a qualcosa dal volto incerto. Come se non bastasse, il Figlio che nascerà da Maria sarà, sì, “il più bello tra i figli dell’uomo”, ma resterà comunque “pietra di inciampo”. Paradossalmente, la prima a doversi misurare con quella pietra sarà proprio lei.
E poi, c’era proprio bisogno che la nascita del Figlio di Dio venisse annunciata “prima che Maria andasse a vivere con il suo fidanzato”? In fondo, quell’evento atteso da secoli, poteva essere ancora procrastinato di qualche mese: cosa sarebbe cambiato, del resto?
Non credo che l’eco delle parole consegnate all’angelo – “Eccomi, sono la serva del Signore” – non abbiano avuto il retrogusto della fatica e del pianto. Ritrovarsi incinta fuori dal matrimonio significava conoscere il giudizio e la condanna di chi spia dalla finestra la vita altrui e non teme di usare certi argomenti come passatempo per le proprie giornate trascorse nella banalità e nel cicaleccio. Se con una certa disinvoltura può aver detto di sì al Signore (non senza peraltro aver conosciuto un vero e proprio percorso emotivo), la partenza dell’angelo avrà significato l’averla messa di fronte alla portata reale di ciò che quel dialogo aveva significato. Cosa sapeva del mondo, della vita, lei che era solo una ragazza? Il gesto che senz’altro avrà accompagnato quei giorni e tutti i suoi giorni è stato quello del tendere la mano per restare aggrappata a Dio. A buon diritto Elisabetta non tarderà a riconoscere: “Hai avuto coraggio nel fidarti di Dio. Beata te”. Non ha chiesto garanzie per fidarsi, non rassicurazioni circa l’esito di quella consegna. Per fidarsi, a Maria è bastato sapere che sulla strada appena imboccata c’era di mezzo anche Dio, e su due piedi ha accettato la sfida. Sentiva compiersi le parole del Salmo 22 che tante volte avrà ripetuto e che ora acquistavano un sapore e un peso nuovi: “Se anche vado per valle tenebrosa, non temo alcun male. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Dio c’è e tanto basta.
Certo, noi sappiamo come sono andate a finire le cose, e perciò il fatto non ci sconvolge più di tanto. La storia di casi simili a quelli di Maria, ci ricorda che non poche volte, ragazze trovatesi nella sua stessa condizione, hanno conosciuto l’amaro calice dell’abbandono e della solitudine. Il Vangelo non tacerà che un simile progetto ha attraversato i pensieri del suo futuro sposo Giuseppe. Sogniamo e invochiamo un Dio che ci risolva la vita: stando al vangelo e alla vicenda di chi ha avuto a che fare con lui seriamente, sembra quasi che egli la complichi continuamente. E, tuttavia, non senza mettersi in gioco egli stesso.
Mentre diceva “sì” all’annuncio dell’angelo, Maria accettava di giocare la partita più faticosa della sua esistenza perché fino alla fine non le lascerà un attimo di tregua. Quel figlio sarà la preoccupazione di tutti i suoi giorni. L’essere madre, infatti, non è qualcosa di circoscritto ad una fase dell’esistenza del figlio finché egli non impara ad assumersi le sue responsabilità e finalmente può uscire di casa. Si è madre e si è figli per sempre (come si è padre per sempre, d’altronde), persino quando il figlio non dovesse esserci più: l’amore, anche se non potrà essere dispiegato concretamente attraverso la cura della persona fisica, non verrà mai meno.
Un vecchio canto che ripetevamo ci faceva ripetere: “Siam peraltro vostri figli e voi siete madre ancor”. Ecco la maternità che non viene meno.
(don Antonio Savone)
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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.
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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.