Premessa Tocchiamo con mano il mutato clima culturale in cui viviamo. La nostra è davvero una grande crisi di valori e di certezze. Ci accorgiamo sempre di più che i vecchi modelli non reggono; il modo di annunciare il vangelo, di accompagnare gli itinerari di catechesi non convincono. A noi pare di battere sentieri inutili, …

Premessa
Tocchiamo con mano il mutato clima culturale in cui viviamo. La nostra è davvero una grande crisi di valori e di certezze. Ci accorgiamo sempre di più che i vecchi modelli non reggono; il modo di annunciare il vangelo, di accompagnare gli itinerari di catechesi non convincono. A noi pare di battere sentieri inutili, delusi come siamo per la debole risposta che abbiamo dai nostri interlocutori. Siamo diventati invisibili e irrilevanti. È cambiato il modo di evangelizzare, dal momento che viviamo in un’epoca post-cristiana. Ora è necessario accontentarsi di situazioni frammentarie, di esperienze provvisorie ed improvvisate.
Abbiamo bisogno di ritrovare la parola con cui San Giovanni Paolo II ci ha introdotto nel terzo millennio: “Duc in altum”. È necessario uscire fuori, imparare a dialogare con i nuovi contesti culturali e religiosi. Per far questo è necessario guardare le cose con gli occhi della fede, gli unici in grado di riconoscere i timidi germogli della ricerca del vero e del bene presenti in tanti fratelli.
È di questo che ci parla la pagina che farà da guida a questo nostro incontro.
Contesto
Siamo in una nuova fase della storia della chiesa: Stefano è stato messo a morte e la maggior parte dei credenti ha dovuto lasciare la città santa. Sebbene perseguitata, la Chiesa, sotto l’azione dello Spirito Santo, si rivela capace di aprirsi a nuovi orizzonti.
«Il sangue dei martiri è un seme» aveva sentenziato Tertulliano. Ciò che accade agli inizi della Chiesa nascente lo testimonia con abbondanza.
Il nostro episodio si colloca tra la morte di Stefano e la conversione di Saulo
Nella lista dei sette uomini scelti dalla comunità e consacrati dagli apostoli per nuove responsabilità ecclesiali, Filippo era stato presentato come il secondo, dopo Stefano.
Quando Filippo incrocia il cammino del funzionario della regina di Candàce, è reduce dalla Samaria dove ha annunciato il vangelo. Da adesso in avanti esso raggiungerà gli estremi confini della terra realizzando così il mandato del Signore.
Luca si attarda nel darci non poche indicazioni sul personaggio incontrato da Filippo:

  • è un etiope, viene dunque della lontana Africa;
  • è un «eunuco», come dice il testo greco, termine usato spesso non nel suo significato immediato, bensì in quello più generico di «ciambellano», «ministro»: egli è quindi un alto funzionario di Candace, regina di Etiopia;
  • è un uomo ricco, perché viaggio su un carro e non a piedi come facevano i più;
  • è un uomo colto perché sa leggere e soprattutto un uomo sapiente ed umile perché capace di farsi e di fare domande alla ricerca di una risposta;
  • infine, è un uomo pio, perché si è recato in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, sottoponendosi ad un lungo ed estenuante viaggio.

Scorrendo il testo emerge con chiara evidenza la presenza di Dio che guida la storia: è Dio che parla a Filippo (v. 26), poi interviene di nuovo (v. 29) e, infine, interviene nel sottrarre Filippo agli occhi del suo interlocutore (v. 39). Dio è sempre all’opera anche quando le situazioni sembrano sfavorevoli: nulla può impedire a Dio di rivelarci il suo amore (“Chi ci separerà…?). In questa pagina sono tanti gli elementi che potrebbero ostacolare e scoraggiare e che, invece, sono proprio l’occasione perché Dio si manifesti:

  • il mezzogiorno
  • la strada che scende
  • è deserta
  • un Etiope
  • eunuco
  • l’incapacità a comprendere le Scritture.

Queste fatiche evidenti scompaiono di fronte alla buona notizia di Cristo.
Testo
«Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo…».
A scanso di equivoci, Lc precisa subito chi è l’agente principale di un’opera evangelizzatrice. Prima di pensare a cosa e a come dire, è necessario non perdere di vista a chi appartiene l’iniziativa.
Filippo è lo strumento mediante il quale Dio trasforma la vita di una persona, con uno stile discreto e rispettoso, capace di accompagnare le scelte del viandante, senza imporgliele. Probabilmente Filippo, di propria iniziativa, non si sarebbe mai fermato a dialogare e tanto meno a condividere l’itinerario nella ricerca della verità di un etiope per giunta eunuco.
Il comando «Alzati e va’», in cui il verbo «alzati» risuona in greco come un «risuscita», esprime un’esigenza che diventa altresì un’abilitazione. Quando lo Spirito affida una missione, rende idoneo il chiamato allo svolgimento di quel compito.
Dove andare?
Verso il mezzogiorno
Il mezzogiorno geografico richiama fatica, siccità; il mezzogiorno cronologico è comunque un’ora in cui non è opportuno uscire di casa: è piuttosto il tempo del riposo. E invece, proprio nell’arsura del mezzogiorno, Dio si rende presente.
La strada che scende…
Per poter raggiungere l’altro, chiunque esso sia, è necessario discendere, proprio come attesta il mistero dell’Incarnazione
A questo invito si obbedisce anche se «la strada è deserta». Ci sono momenti in cui si prova un senso di solitudine, di smarrimento, quasi di inutilità: se la strada è deserta, a chi annunciare il vangelo? Ma poiché c’è Dio di mezzo, occorre essere fedeli al proprio compito. Lo Spirito dice a Filippo «Va’ avanti e raggiungi quel carro» (v. 29). Qui sta la docilità dell’evangelizzatore che riconosce di essere inviato dallo Spirito e in Lui ripone la sua fiducia. Se non perdi di vista chi ti ha inviato la missione è portata avanti anche se l’uditorio sembra distratto o non interessato.
L’aggettivo usato per dire “deserta” è quello che si usa per indicare la moglie abbandonata, dimenticata dal marito: una che non interessa più a nessuno. Forse è questa la situazione di tanti di noi, gente non cercata da nessuno.
Un Etiope…
Una dracma, una pecora, un figlio… Il Dio dell’un per cento, il Dio che sa contare fino a uno.
Filippo viene chiamato da Dio e inviato per un mandato speciale. Strano il luogo, più strano il tempo e tutto per chi? Per uno: una sola persona vale l’intera storia della salvezza, un’intera opera evangelizzatrice. Davvero possiamo ripetere ciò che Isaia mette sulle labbra del Signore: “Tu sei prezioso ai miei occhi” (Is 43,4).
Un Etiope, uno che portava scritto sulla sua pelle la distanza, un ultimo, un escluso. Basti ricordare che Aronne e Maria ebbero da ridire contro Mosè proprio per aver sposato un’Etiope (Nm 12,1). Dio però non fa preferenze di persone (At 10,34).
Eunuco
Alla lettera significa uno che ha un letto: compito degli eunuchi era quello di controllare l’harem del re. E proprio perché persone di fiducia, solitamente ricevevano mansioni importanti tanto da essere persino nominati funzionari statali, come nel nostro caso.
Chi è l’eunuco? È un uomo che patisce sulla sua pelle la condizione di sterilità e di solitudine, un uomo che non ha un futuro dal momento che non può generare. Secondo Dt 23,2, gli eunuchi non potevano essere ammessi pienamente nel popolo di Dio. Quest’uomo, però, ha appena praticato un pellegrinaggio a Gerusalemme: verosimilmente è un uomo in ricerca, ha un animo buono, è in cerca della sapienza.
L’eunuco rappresenta la diversità culturale, morale.
I più anziani di noi si sono sentiti dare da giovani degli ammonimenti a non frequentare quel tale ragazzo perché i genitori erano di altra religione o di non fermarsi con persone che vivevano un rapporto che non era giusto. Certamente lo Spirito Santo oggi ci dice cose che fino a ieri noi non eravamo in grado di percepire (caso Amoris Laetitia: incattiviti come eravamo tutto leggevamo a partire da una norma. Papa Francesco ci ha chiesto invece di ascoltare le storie delle singole persone).
Accòstati
A Filippo Dio ingiunge di accostarsi a quest’uomo facendosi suo prossimo fino a condividere il viaggio. Per evangelizzare e annunciare il vangelo è necessario avvicinarsi, proprio come faceva Gesù stesso con pubblicani e peccatori, superando paure, distanze di sicurezza, barriere. È Filippo a farsi ospitare.
A Filippo viene chiesto anzitutto di accorgersi e di non lasciarsi distrarre dalle condizioni esteriori dell’interlocutore. Perché? L’uomo vale molto più della situazione in cui si trova e la sua vita vale più delle ferite che porta. Bisogna mettersi bene in mente che davanti a Dio l’uomo vale più della condizione che si trova a vivere.
In questo senso non c’è divorzio, non c’è omicidio, non c’è aborto, non c’è droga, non c’è alcuna negatività che la potenza dello Spirito Santo non possa lambire. Nel momento in cui il Signore ci chiede di andare fuori della porta della città santa, di “scendere” nell’umanità, noi veramente rinunciamo nella maniera più radicale a tutte le forme di definizione, di dita puntate, di armi sottili che possono essere anche nelle parole, nei giudizi e nei pensieri.
Papa Giovanni ci ha insegnato a fare distinzione tra l’errore e l’errante. Ad una persona che sta sbagliando non si va a rinfacciargli il suo errore. Si tiene con lui un rapporto di fraternità tale da svelargli la sua condizione ma non che gli si dica che è nell’errore. È un tempo, questo, in cui dobbiamo essere preoccupati meno dei comportamenti e più di evangelizzare e scopriremo che a mano a mano che evangelizziamo Gesù sarà Lui stesso a dire la Sua Verità.
Camminare insieme diventa occasione per conoscere meglio l’altro e quindi per essere più pertinenti nella proposta. Si conoscono meglio i limiti, le virtù, i bisogni dell’altro. Leggere insieme vuol dire che chi sa, spiega a chi non sa.
Come potrei capire se nessuno mi guida?
Quest’uomo ha bisogno di un fratello capace di condurlo. Non si tratta di una difficoltà di tipo intellettuale ma sapienziale (quest’uomo usa un greco assai raffinato, perciò si tratta di un uomo colto). Chiede che gli sia indicata la via per accostare quel testo così da toccargli la vita.
Di quale testo si tratta? Si tratto del quarto carme del servo sofferente (Is 52,13-53,12). Sulle labbra di quest’uomo, però, Lc mette solo due versetti, quelli che sta leggendo lungo il suo viaggio verso casa. Sta accostando la vicenda di quel servo secondo la categoria della discendenza troncata, della vita recisa. Anch’egli, come il servo sofferente, come il Cristo, vive l’amara esperienza della sterilità, della solitudine perché non ha figli. Si tratta, a questo punto, di un uomo solo che, grazie alle Scritture, incontra finalmente la sua vera guida nel cammino della vita.
Filippo non giudica la maturità della fede di quell’uomo: è l’eunuco che giudica la propria maturità nella fede. Filippo non impone a lui uno schema estraneo, ma accetta il suo giudizio e la sua capacità di aderire in pieno
Annunciò a lui Gesù
Filippo evangelizzò Gesù. La buona notizia per l’eunuco è Gesù.
«Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2).
«Tutta la Scrittura è un libro solo e questo libro è Cristo» (Ugo da san Vittore).
Che cosa impedisce che io sia battezzato?
Finalmente sente che la sua vita può essere riletta alla luce della vicenda di Gesù. Gesù lo ha toccato proprio nella sua condizione. Gesù, l’uomo senza discendenza, l’uomo la cui vita è stata recisa, è un uomo come lui.
Non c’è proprio nulla che impedisca il battesimo. Questo, infatti, può essere dato là dove c’è accoglienza della buona notizia divina. Il v. 37 (non ritenuto autentico dagli studiosi, metteva sulle labbra di Filippo queste parole: “Se credi con tutto il cuore è possibile”. Se accogli sei accolto.
Scesero tutti e due nell’acqua
Anche Filippo si immerge, per rinascere attraverso quel rito a una nuova consapevolezza. A Filippo è donata una nuova visione della fede: fuori dai confini etnici e religiosi il Signore ha credenti e discepoli. Quello che succede non è indifferente neppure per lui. Anche lui ne esce rinato, arricchito di una nuova fecondità di cui è stato strumento. E non si impadronisce del convertito: lo lascia al suo cammino, che ora compie nella gioia
Entrambi si lasciano immergere nella gratuità dell’amore di Dio che supera ogni condizione. La dice lunga sulla nostra prassi pastorale: è la memoria viva dell’amore che ha toccato le nostre esistenze a permettere a qualcuno di fare esperienza anche lui della grazia che salva.
“Considerato nella sua dinamica più profonda, la conversione dell’eunuco deve definirsi un itinerario prebattesimale i cui momenti salienti sono: lettura della Parola di Dio, evangelizzazione di Gesù, battesimo” (B. Papa).
Un percorso analogo era stato seguito dai due discepoli di Emmaus che, dopo aver accettato il Gesù sofferente, lo incontrano vivo allo spezzare il pane. Ogni annuncio è parte del cammino, non tutto il cammino, e tanto meno la meta; deve portare all’incontro completo con Cristo, quello che si ha nel sacramento.
Pieno di gioia proseguiva la sua strada
Si tratta della gioia in azione che mette le ali ai piedi. Si tratta della stessa espressione usata da Lc per Zaccheo che pieno di gioia accoglie Gesù in casa sua; è la stessa gioia del pastore che ritrova la pecora smarrita. La gioia di Dio diventa la gioia degli uomini; la gioia della misericordia diventa la gioia della guarigione, la gioia dell’attesa diventa la gioia del ritorno.
Dopo il battesimo non si parla del dono dello Spirito (cf invece v. 17), ma della grande gioia che l’accompagna. E la gioia è uno dei frutti dello Spirito, come ricorda Gal 5,22. Filippo probabilmente non constata questa gioia e quindi non può verificare l’efficacia del suo intervento. Capita spesso che l’annunciatore della Parola non possa vedere gli effetti proficui del suo lavoro; deve comunque sapere che lo Spirito dona la sua gioia anche «in mezzo a grande tribolazione» (1Ts 1,6).
Filippo scompare
Lo Spirito lo sottrae, per altri luoghi e per altri incontri. Filippo è sottratto alla tentazione di impadronirsi dei risultati, di tenere per possesso quello che il Signore ha generato a vita nuova.
Nel racconto abbiamo gli elementi che illuminano la fede:

  • Che cosa? La fede è adesione a Cristo.
  • Da dove? le Scritture sono la sorgente per capire e incontrare Cristo.
  • Come? occorre leggere, domandare, spiegare e capire.
  • Per che cosa? si riprende il cammino, pieni di gioia.

Dio
Quale volto di Dio emerge da questa pagina?
Il Dio che prende l’iniziativa: è lui il primo a muoversi. Lo fa mediante un angelo che entrando in relazione con Filippo, gli parla. Dio non ha mai smesso di dialogare con gli uomini, come ricorda Eb 1 (“molte volte e in diversi modi… ultimamente ha parlato a noi per mezzo del Figlio”).
Questo dialogo ora raggiunge noi. È a noi che viene chiesto: “Alzati e va’”. Ci sembra impossibile rispetto ai calcoli che abitualmente facciamo sulla nostra vita. Come fare quando la strada è deserta e il momento non è quello più adatto? “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie” (Is 55,8).
Filippo
Il criterio per scegliere i diaconi era stato ben preciso: “uomini pieni di Spirito Santo e sapienza” (At 6,3). La sua vicenda lo conferma abbondantemente. Filippo è capace di porgere l’orecchio e di aprire il cuore. Infatti, una volta ascoltato ciò che il Signore gli chiede, si mette subito all’opera. Si mette in cammino per uno solo. Anche in seguito, quando il Signore interverrà di nuovo (v. 29), Filippo obbedirà lasciando da parte ogni legittima riserva: corre, si accosta al carro, monta su, si siede accanto senza paura di contaminazione e senza il timore di perdere qualcosa.
Filippo si mostra come un fratello capace di compiere un tratto di strada con l’Etiope, proprio come aveva fatto Gesù con i due di Emmaus. Sta accanto condividendo quanto ha di più prezioso: apre il suo scrigno e offre il suo tesoro, Gesù Cristo. Compie quello che già Pietro e Giovanni avevano fatto con lo storpio alla porta del tempio: “Non ho né oro né argento, ma quello che ho te lo do” (At 3,6).
Guidare una persona alla scoperta della verità, orientarla verso il bene o verso il meglio, costituisce un’autentica opera di misericordia spirituale. Quella di Filippo è una “carità intellettuale”, perché, con encomiabile zelo, ha portato gli abitanti di Samaria prima e il ministro etiope poi alla scoperta e all’incontro con Cristo.
Lo ricordava Papa Benedetto XVI, parlando ai vescovi canadesi l’8 settembre 2006, e sosteneva l’urgenza di una «carità intellettuale», capace di “guidare i giovani alla perfetta soddisfazione di esercitare la propria libertà in relazione alla verità e di articolare il rapporto tra la fede e tutti gli aspetti della famiglia e della vita civile”.
La figura di Filippo è segno di un Dio appassionato della vicenda dell’uomo e rivolto verso di lui. Perciò è necessario imparare ad amare questa fase storica in cui ci è capitato di vivere. Si tratta di correre avanti, di mettersi ad ascoltare, di porre la domanda giusta, come Filippo, con tono giusto. È solo ascoltando e ponendo la domanda giusta che la fede matura, in un dialogo fraterno, rispettoso e paziente.
La figura di Filippo è figura di uno che ha imparato ad uscire dal privato, dal nido confortevole della sua relazione con Dio.
Che cosa suggerisce a noi la figura di Filippo?
Il cielo si piega verso la terra e lo fa attraverso una mediazione umana.
L’eunuco
Tutto questo per uno: ciascuno di noi, infatti, è amato, atteso, desiderato. Anche l’uomo dalla pelle scura, l’uomo tagliato nella sua intimità, lui che una comunità escluderebbe, proprio lui è il motivo per cui il cielo scende in terra.
Il suo grido è stato ascoltato: “Ti prego, dimmi!”.
Quando il cielo si piega verso di me, cosa faccio?
La vita chiama tutti quanti noi a farci carico di alcuni ambiti relazionali, di lavoro, di servizio. Più volte, ci troviamo sollecitati a stare accanto con semplicità, seduti insieme, in una condivisione umile che solo a noi è concessa. E lì siamo chiamati a parlare della ragione ultima della nostra fede.
Io t’invoco, o Dio verità,
nel quale, dal quale, per il quale
sono vere tutte le cose.
Dio, da cui sfuggire è smarrirsi,
a cui tornare è risorgere,
in cui abitare è vivere.
Dio, che nessuno perde,
se non inganna se stesso;
che nessuno cerca,
se la grazia non lo indirizza;
che nessuno trova, se non è puro.
Dio, che abbandonare è come morire,
che attendere è come amare,
che intuire è come possedere.
Dio, a cui ci spinge la Fede,
a cui ci conduce la Speranza,
a cui ci unisce la Carità.
(Sant’Agostino)