SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA 13  maggio 2020  (A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.) Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la …

SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA

13  maggio 2020 

(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? 
Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).

Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
 
Preghiamo
O Dio, che salvi i peccatori e li rinnovi nella tua amicizia,
volgi verso di te i nostri cuori:
tu che ci hai liberato dalle tenebre con il dono della fede,
non permettere che ci separiamo da te, luce di verità.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Sal 121
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano.

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Dal Vangelo secondo Giovanni (15,1-8)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

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La vite vera
‘Io sono la vera vite’: è questa la lieta notizia per il nostro cammino dietro il Risorto.
Più volte e in diversi modi Dio aveva piantato e curato un’altra vigna, il suo popolo Israele perché fosse nel mondo il segno di una umanità capace di giustizia. E tutte le volte Dio aveva incontrato non poche resistenze e numerosi fallimenti. Ma la delusione per la mancata produzione di frutti di giustizia non ha mai spento la sua speranza.
Dio ci riprova: il suo progetto di un’umanità nuova riparte e riparte con la vera vite, Gesù di Nazaret. C’è un uomo finalmente che può dire: “Sono io la vera vite”, quella capace di non deludere le attese del Padre che è il vignaiolo. Nella misura in cui si rimane uniti a questa vera vite è dato anche a noi di conoscere un’esperienza di pienezza e di fecondità. È lui la vera vite, cioè l’unica possibilità attraverso la quale è dato di corrispondere al progetto di Dio sull’umanità. La condizione perché questo avvenga è il rimanere uniti a lui. È la condizione, non la garanzia automatica, dal momento che è anche possibile rimanere in Gesù e non portare frutto.
‘Rimanete in me e io in voi…’
Non poche volte questa parola di Gesù ha finito per favorire una spiritualità dell’intimità con lui della serie “io e lui e nessun altro”. Ci affascina il desiderio di una intimità da focolare. Ci affascina una spiritualità che favorisca una sorta di individualismo religioso, tanto gratificante ma altrettanto infecondo. Eppure niente di tutto questo nel brano evangelico: il rimanere in lui non è un rinchiudersi nell’intimità del nostro cuore per godere di un rapporto privato ed esclusivo con Dio. Non dimentichiamo che il rapporto con il Signore se da una parte è un fatto personale, non è mai, però, un fatto privato. Gesù è vera vite non perché vive compiaciuto della sua relazione con il Padre ma perché continuamente attraversato dal desiderio di comunicare vita all’esterno di sé.
L’immagine della vite e dei tralci è al di là di ogni individualismo per riscoprire, invece, il valore della comunione. La vita di Cristo che per il battesimo scorre nelle nostre vene dilata continuamente le nostre possibilità di amare.
Perché tanta insistenza sulla necessità di rimanere? Perché non è l’unica opzione possibile. Si insiste sul rimanere là dove si coglie anche la possibilità di andar via. Rimanere o andarsene? E questo nei vari ambiti della nostra storia. Nella fede, ad esempio: rimanere o andarsene? nella Chiesa: rimanere o andarsene? e, ancor prima, nella vita: rimanere o andarsene? Che cosa, semmai, può diventare per noi motivo di rimanere? Il fatto che il primo a non andarsene è Dio stesso.
In guardia, però, da ogni atteggiamento di presunzione: criterio permanente di verifica del rimanere nel Signore è l’agire come lui.
Ecco la necessità per ciascuno di noi di mettere radici: rimanete in me. Il desiderio del Padre, infatti, è uno solo: “in questo è glorificato il Padre: che portiate frutto”. Dio è glorificato se io porto frutto. Dio è glorificato se la mia vita non porta il contrassegno della sterilità ma della fecondità.
Non basta vivere una vita cristiana nell’ordine di una santità fatta di integrità, una santità del preservarsi, del tutelarsi: il frutto che Dio si attende è che i discepoli abbiano le mani immerse nella vicenda della storia.
La qualità della nostra esistenza sarà giudicata dalla nostra capacità di esserci giocati nella nostra storia. Il giudizio di Dio, infatti, non guarderà certo le nostre fragilità che pure sono costitutive di noi. Riguarderà piuttosto il nostro grado di fecondità. Perché il rischio per ciascuno di noi, il peccato vero e proprio è quello di aver vissuto una vita inutile, una vita recisa da quel flusso vitale che Dio continuamente ha provato a far scorrere dentro di noi: senza di me non potete far nulla.
(don Antonio Savone)

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Riflessione mariana

13 Maggio

Segni della fiducia di Dio
Quando penso a Maria, risuonano spesso dentro di me le parole che il profeta Isaia aveva rivolto al popolo d’Israele in un momento di depressione e di smarrimento: “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo, vostro padre…” (51,1-2). Parafrasando, è come se Isaia ci rivolgesse l’invito: “Guardate a Maria, vostra madre…”. Abbiamo bisogno di guardare a Lei, la cui esistenza è garanzia di una vita riuscita. Abbiamo bisogno di modellare la nostra esistenza sulla sua. Guai a distogliere il nostro sguardo da lei: rischieremmo di camminare a tentoni.
Maria è in qualche modo la lettera su cui Dio ha scritto non quello che non siamo e neppure quello che non potremo mai diventare: ella è la lettera su cui è scritto ciò che possiamo essere, se lo vogliamo.
Di che cosa è segno Maria e perché noi la invochiamo proprio mentre ci sentiamo mettere alle strette? Essa è segno di un Dio che non si rassegna mai alla piega che la storia può prendere mentre l’umanità, deliberatamente, sceglie di allontanarsi da lui.
La storia dell’umanità come la storia di ogni uomo sulla terra potrebbe essere letta come la vicenda di un Dio che per amore si consegna all’uomo e di un uomo che spesso gli volta le spalle allontanandosi e nascondendosi a lui. Tuttavia, le viscere di misericordia che fremono nel cuore di Dio non si rassegnano a un simile corso delle cose e per questo Dio usa gesti di tenerezza che attestano quanto il suo amore sia più forte di ogni rifiuto.
Proprio in un momento in cui tutto lasciava pensare che Dio avesse distolto il suo sguardo dall’umanità, la storia assume un nuovo corso i cui benefici hanno raggiunto tutti noi grazie alla disponibilità di una ragazza di Nazaret. Proprio lei infatti, è espressione di un amore sorprendente e sovrabbondante, è garanzia che la storia può avere ancora un futuro; proprio lei è il segno che là dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia (cfr. Rm 5,20) e perciò non c’è simmetria diretta tra delitto e castigo.
Maria ci ricorda che nulla può far desistere Dio dal suo progetto originario sull’umanità, neppure la risposta negativa da parte dell’uomo al suo amore gratuito. La più grande smentita non diventa mai motivo perché venga meno la sua fiducia nell’uomo e nella sua capacità di compiere il bene.
E, tuttavia, Maria ci ricorda ancora che, se è vero che Dio è disposto a prendere su di sé tutto il male dell’uomo, è altrettanto vero che egli non può rispondere al posto dell’uomo.
Ma dove e come è possibile rispondere a questo Dio? Solo in un clima rarefatto come quello di un tempio e in un momento di preghiera? Solo in una circostanza straordinaria com’è la festa che stiamo celebrando? La vicenda di Maria ci ricorda, invece, che Dio entra nella realtà concreta di un progetto matrimoniale, vale a dire di un amore umano, e lo trasforma in esperienza di rivelazione. Dio entra in una casa che sa di cucina e di fatica e la fa diventare spazio in cui egli si manifesta come colui che sceglie di abitare l’umano facendolo suo. Tutta la storia è il luogo della presenza di Dio e ogni circostanza è il momento in cui dargli una risposta. Non ci è chiesto di mandare all’aria i nostri progetti ma di realizzarli alla luce dell’iniziativa di Dio.
La vicenda di Maria è lì a ricordarci che quando si ritroverà da sola a vivere qualcosa che non aveva messo in conto, questo non verrà affrontato anzitutto grazie a chissà quale nuova illuminante conoscenza ma grazie ad una rinnovata e maggiore fedeltà a Dio. Anche lei avrà bisogno di tempo per comprendere ciò che stava vivendo, anche lei ha avuto bisogno di mutare il modo di leggere le situazioni e intravederne le conseguenze.
C’è un particolare che vorrei sottolineare e che credo talvolta ci sfugga. Quando pronuncia la sua adesione a ciò che l’angelo le annuncia, Maria non dice: “Eccomi, avvenga quello che hai detto”, ma “Eccomi, avvenga di me quello che hai detto”. Non lascia che le cose accadano magicamente, ma accetta di mettersi in gioco facendo sì che nessun aspetto della sua vita sia sottratto all’azione misteriosa e feconda della grazia di Dio.
(don Antonio Savone)

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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.

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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.