https://www.youtube.com/watch?v=Z3SyV9gYKmY Aveva già fatto il suo ingresso a Gerusalemme da qualche giorno. Mancavano poche ore al suo arresto e alla sua condanna a morte. Abile osservatore qual era, Gesù si ferma a guardare cosa accade nella casa del Padre suo. Seduto davanti al tesoro osserva come la gente si muove. E mentre gli occhi dei …

Aveva già fatto il suo ingresso a Gerusalemme da qualche giorno. Mancavano poche ore al suo arresto e alla sua condanna a morte. Abile osservatore qual era, Gesù si ferma a guardare cosa accade nella casa del Padre suo. Seduto davanti al tesoro osserva come la gente si muove. E mentre gli occhi dei suoi discepoli sono attratti da chi, nel cortile del tempio, fa sfoggio di abiti degni del ruolo e del rango, egli, invece, riconosce che quelle vesti sono piuttosto copertura di chi saccheggia sulla pelle dei poveri, dei senza voce, vedove in primis. Il loro intento è quello di farsi vedere. Parafrasando Cartesio si potrebbe dire: “videor ergo sum”.

Nell’invitare a stare alla larga da simili atteggiamenti, Gesù parla di una pena severa. Non si tratta della pena eterna, anzitutto. Si tratta, piuttosto, di quella fatica a restituire un senso al nostro essere quando si smette un ruolo, quando non c’è una telecamera che ci riprende o i followers che mettono likes. Si tratta dell’angoscia di pensare di non valere nulla solo perché non c’è qualcuno che ci riconosce e ci approva. È il dramma di questo nostro frangente storico. Essere come sospesi allo sguardo e al giudizio altrui: “videor ergo sum”, appunto.

Per contro, invece, una vedova, povera, che col suo incedere quasi sembra chiedere scusa di esistere. Una senza identità: senza marito, probabilmente senza discendenza, senza più un futuro, ma non senza dignità.

Chi si sarebbe accorto di lei e della sua misera offerta se gli occhi di Gesù non l’avessero sottratta all’invisibilità della sua presenza e all’irrilevanza del suo gesto per i tanti che, invece, avrebbero voluto comprare il favore di Dio grazie alle somme versate per il tempio?

Ella è se stessa fino in fondo: non cerca e non ha paura del giudizio altrui. È senza filtri. Gesù, infatti, che non si lascia incantare dalle apparenze, fa capire ai suoi discepoli che mai come in questo caso, niente è come sembra. Tutti hanno gettato tanto, lei sola ha donato tutto. Tutti hanno gettato qualcosa che non ha alcuna incidenza sulla loro vita, il superfluo, appunto. Il valore di qualcosa, però, non è dato dalla quantità ma da ciò che rappresenta per te quello che doni. La vedova va oltre il calcolo e la logica che vorrebbe suggerire di tenere per sé almeno uno spicciolo. No, lei “getta intera la sua vita”.

“Sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensì il peso dei cuori” (S. Leone Magno).

È alla donna che bisogna guardare, ripete Gesù ai suoi di allora e a noi oggi. Si tratta dell’invito a puntare lo sguardo su ciò che immediatamente non attira la nostra attenzione, perché è da lì che può venire una luce nuova sulla nostra vita.

Che la donna getti nel tesoro del tempio tutto quanto aveva per vivere, dice quanto fosse legata al suo Dio e quanto fosse grande la sua fiducia in lui. La sua fede le fa credere che Dio baderà a lei senz’altro.

Attratti come siamo dall’apparire e dall’essere riconosciuti, rischiamo, invece, di non vivere più una vita che si spende per ciò in cui crediamo.

Se due spiccioli dati con il cuore attirano lo sguardo di Dio, una somma ingente che attira lo sguardo di tutti, finisce, invece, per far rivoltare il cuore di Dio. Hai già ricevuto la tua ricompensa se lo fai per metterti in mostra.

Quello che faccio perché lo faccio? Per cosa mi spendo? È ancora un dono ciò che non mi priva di nulla?