Vorrei tanto ritrovarmi nel gruppo dei discepoli che osano avvicinarsi a Gesù per essere messi a parte di uno sguardo nuovo sulla realtà e riuscire a vedere quello che ad occhio nudo non si riesce a cogliere. In un tempo in cui il disincanto sembra essere la categoria che più rilegge il nostro vivere, siamo …

seminatore1Vorrei tanto ritrovarmi nel gruppo dei discepoli che osano avvicinarsi a Gesù per essere messi a parte di uno sguardo nuovo sulla realtà e riuscire a vedere quello che ad occhio nudo non si riesce a cogliere.
In un tempo in cui il disincanto sembra essere la categoria che più rilegge il nostro vivere, siamo invitati ad apprendere l’arte di stupirci. Di cosa? Di un Dio che instancabilmente si rivolge all’uomo perché venga rigenerato mediante il dono della sua Parola, proprio come l’acqua rigenera un suolo riarso. Dio ci parla continuamente. E lo fa nei modi più diversi. Senz’altro attraverso il dono della sua Parola proclamata nella liturgia o ascoltata nel chiuso della nostra camera; attraverso il dono dell’esistenza o la grazia di un’amicizia, mediante un evento di luce come per mezzo di un momento di fatica. Sempre Dio parla al nostro cuore. Sappiamo tutti la risonanza positiva che esercita su di noi il fatto che qualcuno ci parli, che non ci consegni mutismo, come conosciamo altresì l’angoscia patita quando qualcuno distoglie da noi il suo sguardo e ci toglie la parola. No: Dio non si ritrae mai in un atteggiamento risentito. È un infaticabile tessitore di dialogo. Per lui non esiste un tempo in cui egli non getti il seme della sua Parola. Ci parla persino nella morte e attraverso il silenzio a tutta prima infecondo di un sabato santo.
Non esistono condizioni previe perché questo accada: egli, infatti, non ha preferenze di luoghi o di persone. Se nell’agricoltura perché il seme porti frutto  è necessario preparare il terreno, non così per Dio: ogni terreno è adatto alla possibilità che il seme attecchisca e germogli. “Il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente” (S. Giovanni Crisostomo). Quando ciò non accade non è perché io non sia stato raggiunto dalla sua Parola ma perché, verosimilmente, o non l’ho riconosciuta o, se l’ho riconosciuta, non l’ho accolta con docibilità, che è la capacità propria di chi si lascia plasmare continuamente dalla parola che ascolta. La fecondità del seme, infatti, non è legata alla misura del frutto ma alla qualità dell’accoglienza.
Il solo fatto che il Signore scelga di cadere nel solco della nostra vita (sia esso fatto di spine o di pietre o dell’aridità della strada) è già motivo per sperare contro ogni speranza.
È vero: l’intelligenza si apre quando l’uomo è in grado di tornare alla meraviglia, allo stupore. Ed è proprio ciò di cui più abbiamo bisogno. Quanto ha fatto Dio per rendere fertile il nostro cuore! Più che fissare lo sguardo sulla nostra pochezza, allora, abbiamo bisogno di non distoglierlo dalla prodigalità con cui Dio si prende cura di noi. Nasce da qui la possibilità di imparare a coltivare noi stessi che equivale a lasciarsi coltivare da Dio.
Nel gesto largo della semina è contenuto l’invito a non aver paura dello spreco: accade sovente di chiedersi se davvero valga la pena fare una cosa, accompagnare un percorso, investire in un certo campo. In genere chi si pone questa domanda sposta l’attenzione sulle condizioni oggettive di ciò che è esterno da noi. L’invito, invece, che soggiace alla parabola del seminatore, è quello di non smettere di vivere di fiducia, nonostante i numerosi fallimenti. L’esito della semina, infatti, non è già precostituito: quante volte, infatti, abbiamo visto spuntare qualcosa di nuovo proprio là dove non ce lo saremmo aspettato! C’è uno sguardo da levare, ripete a noi Gesù, proprio come fece con i discepoli dopo l’incontro con la Samaritana: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35). Vorremmo volentieri stabilire noi i criteri per misurare tanti nostri investimenti e forse ci mancano gli occhi capaci di riconoscere ciò che Dio sta già facendo spuntare proprio attorno a noi. La capacità di seminare sempre e ovunque non è proporzionale alla preoccupazione del raccolto ma alla grandezza del cuore: solo un cuore dilatato non lesina gesti e parole.
La parabola del seminatore ci parla di Dio e del suo cuore. Anche se sa che il suo amore potrà non essere accolto e perciò potrà andare sprecato, Dio non cessa di riversarlo con abbondanza e senza risparmio. Anche di fronte alle resistenze più manifeste e persino di fronte all’opposizione più dura, Dio non cessa di mettere a parte l’uomo della sua volontà di comunione con lui.
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Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13,1-23
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».