Di fronte alla morte delle persone a noi care è sempre smarrimento, misuriamo tutta la nostra impotenza tanto ci sentiamo impari. Vorremmo che qualcuno facesse ardere il nostro cuore che resta come impietrito perché non sa darsi ragione di questo strappo. Quest’oggi, però, qui, in questa Cattedrale che voi, Giuseppe, Ludovica e Stefano avete voluto …

Di fronte alla morte delle persone a noi care è sempre smarrimento, misuriamo tutta la nostra impotenza tanto ci sentiamo impari. Vorremmo che qualcuno facesse ardere il nostro cuore che resta come impietrito perché non sa darsi ragione di questo strappo.

Quest’oggi, però, qui, in questa Cattedrale che voi, Giuseppe, Ludovica e Stefano avete voluto come luogo per la celebrazione per salutare vostra madre che amava le chiese storiche, noi non celebriamo una fine, anzitutto, ma un compimento, quello di Maria Piera che nella sua condizione di figlia e di sorella dapprima, poi di moglie e madre, di amica, collega è stata come il passaggio di una benedizione in mezzo a voi per la voglia che aveva di vivere e per il modo in cui ha onorato relazioni e compiti.

Stamattina, quando sono passato per la benedizione nella cappella dove era allestita la camera ardente di Maria Piera, sono rimasto molto colpito, caro Michele per la compostezza con cui tu e i tuoi figli, i genitori state vivendo questo momento di prova. Un particolare più di altri ho colto dalla tua testimonianza su tua moglie: non hai mai usato il verbo al passato. Hai parlato di Maria Piera sempre al presente non per negare l’accaduto ma a testimonianza di una diversa presenza, non più fisica ma spirituale e non per questo meno vera.

Ci sono persone che sono davvero una benedizione per noi. Mentre ieri ascoltavo la testimonianza di alcune colleghe e stamattina la tua, Michele, mi ritornava alla mente il versetto di un salmo: “al tuo passaggio stilla l’abbondanza” (Sal 64,12). È un’espressione riferita al passaggio del Signore nella nostra vita ma non credo sia una forzatura se lo applichiamo alla breve ma intensa esistenza di Maria: il suo passaggio, un’abbondanza di bene per la sua tenacia, per la capacità di stare sul pezzo, per il modo in cui ha vissuto senza farla pesare anche la sua malattia tanto da conseguire il titolo di Ispettore proprio in un tempo in cui le forze stavano venendo meno. Amabile e affabile con tutti, lei dapprima sconosciuta perché non ha avuto i natali in questa città, è diventata notissima: “tutto questo è per lei”, mi hai confidato ancora.

“Vogliamo vedere Gesù”. Anche noi, come i greci saliti a Gerusalemme che, avendo sentito parlare di Gesù come di un personaggio eccezionale desideravano avere qualche prova della sua fama, anche noi vogliamo vedere Gesù. Quante cose avremmo da chiedergli. Avremmo bisogno di essere incoraggiati a credere mediante “segni” che abbiano una particolare forza persuasiva. Ma il racconto che abbiamo ascoltato non ci permette di coltivare l’illusione di una fede facile e rispondente alle nostre attese.

Gesù, infatti, fa osservare che non c’è nulla da vedere e per questo parla del “chicco di grano caduto in terra”. Quale visibilità può avere un piccolo seme sepolto nel terreno?

“È giunta l’ora”: e l’ora di cui parla è quella della sua morte. È l’ora dell’addensarsi delle tenebre per la sua morte in croce. Per noi, nelle tenebre, non c’è nulla da vedere. Ma è proprio all’interno di questa profonda oscurità che Gesù vede e invita a vedere, paradossalmente, il dischiudersi dello splendore della gloria. Nella debolezza intravede la forza, nel fallimento la vittoria, nella croce la risurrezione. È quello che mi hai confidato stamani Michele: Maria Piera si è ritrovata una forza impari tanto da non far pesare mai la sua condizione e, addirittura, essere di sprone a quanti condividevano il suo stesso percorso. Dio si manifesta proprio in quella esperienza del chicco che muore per dare nuova vita. Maria Piera si è manifestata in pienezza proprio nel suo entrare nel mistero della sua dipartita.

Gesù non mortifica il nostro desiderio di vederlo. Chiede, però, che, allo sguardo abituato a vedere solo ciò che ha il carattere dell’evidenza, venga sostituito un altro sguardo, capace di leggere oltre le apparenze. Si tratta del vedere che si esprime nel credere. E mentre Gesù dice questo è consapevole di trovarsi di fronte alla sua morte. Conosce tutto l’orrore di una fine così crudele: “Ora l’anima mia è turbata”. Gesù non muore come un saggio stoico, disprezzando la vita, e perciò andando incontro alla morte con animo sereno e pacificato. Di fronte alla morte che l’attende non si vergogna di gridare, di piangere, di manifestare la sua paura, proprio come accade a tutti noi. Ma Gesù sa anche qual è il modo per contrastare e vincere lo scandalo della morte: non difendendo egoisticamente ciò che possiede, ma facendo dono della propria vita per amore.

L’esperienza del maestro diventa l’esperienza del discepolo, l’esperienza di Gesù diventa l’esperienza di Maria Piera.

Contemplare Gesù porta a riflettere sul nostro progetto di vita, sui nostri momenti decisivi, su quanto proviamo quando arriva la nostra “ora”: paura? Amarezza? Angoscia? Ribellione? È perfettamente umano vivere questo genere di reazioni. Contemplare Gesù significa poter affrontare la sofferenza e la croce a partire da un qualcosa di inaspettato. Non è la sofferenza in sé ad essere salvifica ma la sofferenza attraversata, accolta, vissuta con amore. La croce resta strumento terribile di sofferenza, ma perde la sua forza mortifera e diventa segno di salvezza.

Ecco perché oggi, sebbene sia legittimo misurare il vuoto che lascia Maria Piera, siamo sollecitati da lei stessa a riconoscere e custodire le tracce del suo passaggio nella nostra vita. Non il vuoto ma le tracce, ciascuno per la sua parte.