Ho immaginato il nostro venerare san Rocco un po’ come il convenire delle folle di Gerusalemme che si recavano al Giordano da Giovanni con una richiesta esplicita: “E noi che dobbiamo fare?”. Questa domanda la rivolgiamo a San Rocco: “E noi che dobbiamo fare?”. La vita, ci ripete il giovane san Rocco, non è fatta …

Ho immaginato il nostro venerare san Rocco un po’ come il convenire delle folle di Gerusalemme che si recavano al Giordano da Giovanni con una richiesta esplicita: “E noi che dobbiamo fare?”.
Questa domanda la rivolgiamo a San Rocco: “E noi che dobbiamo fare?”.
La vita, ci ripete il giovane san Rocco, non è fatta di grandi imprese, non è una affannosa rincorsa di falsi ideali, non si basa su sicurezze inconsistenti. La felicità che tutti cerchiamo non è mai merce di scambio e non è neppure a buon mercato. La felicità è, anzitutto, esperienza di pacificazione interiore. Essa nasce dall’incontro con Gesù Cristo e dalla scoperta che egli è la perla preziosa per cui vale la pena abbandonare ogni cosa.
Rocco incontra il Signore dopo la perdita dei suoi genitori quando, appena ventenne, sente il bisogno di disfarsi di tutto fidandosi dell’unica parola in grado di mantenere ciò che promette: “Se vuoi essere perfetto, va’ vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli” (Mt 19,21).
Rocco scommette tutto sul solo che non delude mai. A differenza del giovane ricco, Rocco si lascia amare dallo sguardo del Signore tanto da non riuscire più a controllare i movimenti del cuore: per questo non esita ad andare oltre se stesso e a intraprendere un viaggio che non è fuga dalla realtà che lo circonda e tanto meno è voglia di nuove avventure.
Rocco è un pellegrino con una meta ben precisa. Se il suo bagaglio è fatto di bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia, la sua forza, invece, viene dalla preghiera e dalla carità e la sua gioia da Gesù Cristo. Che cosa rappresentava il voler raggiungere la tomba degli Apostoli se non il voler ridire il suo desiderio di restare sempre in comunione con il Signore di cui gli apostoli furono costituiti vicari?
Toccato dalla misericordia di Dio, prima ancora che uno spostamento geografico, Rocco intraprende il viaggio più difficile: uscire da se stesso; nel caso di Rocco, questo fu viaggio di sola andata. Gli Ebrei, infatti, traducono le parole dette dal Signore ad Abramo, non anzitutto come un invito a compiere uno spostamento di luogo ma come sollecitazione ad andare a se stesso, alla verità della propria storia.
Rocco, come già Abramo, “per fede, chiamato da Dio, obbedì partendo…” (Eb 11,8). Unica bussola del suo viaggio, la fede.
Proprio della fede non è la navigazione a riva o in acque tranquille.
Proprio della fede è piuttosto la navigazione a largo, sfidando il vento contrario come il mare in tempesta.
Proprio della fede è non assolutizzare alcun luogo perché, per il credente, ogni luogo è patria.
Proprio della fede è, come dice san Gregorio Magno, “sdegnare in sé le ferite del corpo, e curare negli altri le ferite del cuore. I grandi infatti hanno questo di particolare che, trovandosi nel dolore della propria tribolazione, non cessano di occuparsi dell’utilità altrui; e mentre soffrono in se stessi sopportando le proprie tribolazioni, provvedono agli altri, consigliando loro quanto abbisogna. Sono come dei medici eroici, colpiti da malattie: sopportano le ferite del proprio male e provvedono gli altri di cure e di medicine per la guarigione”.
Se per la fede Rocco è l’uomo del cammino, per la carità diventa anche l’uomo della sosta consapevole perché interpellato dalla necessità degli appestati.