La nostra quaresima era cominciata all’insegna del “Tu, invece…” lasciatoci da Gesù mentre ci invitava a diventare capaci di mostrare la differenza nel praticare il digiuno, l’elemosina e la preghiera.

Stasera ci ripropone di nuovo il criterio della differenza: egli, il Signore e il Maestro, è stato in mezzo ai suoi con il grembiule cinto ai fianchi e con la brocca e il catino in mano. Inaudito per un Signore e un Maestro. Lo comprende bene Pietro che fa le sue rimostranze: Signore, tu lavi i piedi a me?

Se dunque io, il Signore e il Maestro,… anche voi…

Il gesto di Gesù non è un gesto coreografico. È un gesto che, simbolicamente, esprime il senso di una intera esistenza. Un gesto che può compiere solo perché ha accettato di spogliarsi: si alzò da tavola, depose le vesti…. Quella sera, infatti, prima di lavare i piedi agli apostoli, aveva deposto le vesti, aveva deposto, cioè, tutto ciò che lo avrebbe potuto collocare su un altro piano, tutto ciò che avrebbe potuto far sentire il gesto della lavanda come un atto di carità. Quello di Gesù, invece, non è né un gesto di umiltà né di carità: è il gesto che dice come è Dio. Quelle vesti, infatti, le aveva già deposte un giorno lontano quando aveva accettato di entrare nella storia degli umani assumendo la condizione di servo (Fil 2,5-11). Non a caso – credo – Gv annota che Gesù compie tutto questo sapendo (per tre volte in pochi versetti evidenzia la consapevolezza di Gesù).

Il gesto del deporre le vesti esprimeva in profondità la volontà da parte di Gesù di eliminare barriere e corazze che lo avrebbero difeso dagli altri. Togliersi le vesti, denudarsi – lo sappiamo – significa esporsi alla vulnerabilità. Eppure, Gesù aveva potuto incontrare la nostra umanità perché aveva scelto di condividere la stessa fragilità. Non è forse vero che l’incontro più intimo tra umani avviene proprio nella condivisione di quella nudità che abitualmente proteggiamo?

Dopo aver deposto le vesti comincia a lavare i piedi. Non si tratta di piedi scelti ad hoc per l’occasione come accade nelle nostre celebrazioni. I piedi dei suoi discepoli, quelli che aveva attorno a sé, così com’erano.

Certo ci sono i piedi di Natanaele, i piedi cioè di un irreprensibile, di uno in cui non è falsità.

Ci sono senz’altro i piedi di Giovanni, di colui cioè che avrebbe preso il suo posto accanto a sua madre, piedi capaci di correre in fretta il mattino di pasqua.

Ci sono i piedi di Pietro, quei piedi che lo avrebbero portato di lì a poco lontano da lui nel rinnegamento. Piedi che lo trattengono lontano dagli eventi che riguarderanno il suo maestro.

I piedi di Giuda, piedi che di lì a poco sarebbero rimasti sospesi al vento.

E poi i miei piedi, quelli di ciascuno di noi. Quella sera, infatti, prima di lasciare i suoi, Gesù ha preso tra le sue mani i piedi di ciascuno di noi, pensando a tutti i nostri percorsi sbagliati, a tutte le nostre fughe da lui, a tutti i nostri percorsi senza vie d’uscita. Nonostante piedi in fuga, a quei piedi sarà affidato l’annuncio di speranza che dovrà raggiungere ogni uomo. A noi questa speranza è giunta proprio tramite quei piedi.

E le sue mani. Mani che accarezzano, sfiorano i nostri piedi ma che non trattengono, non impediscono.

Ancora una volta, quella sera, attraverso quel suo chinarsi davanti ad ognuno dei suoi discepoli, Gesù ci lasciato come testamento lo sguardo dal basso. “Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato… a guardare i grandi eventi della storia… dal basso, dalla prospettiva degli esclusi…” (Bonhoeffer). Lo sguardo dal basso è lo sguardo di chi si mette ai piedi della crescita dell’altro (cfr. Mario Luzi: ai piedi della loro crescita). E sappiamo che “se non si è guardati con amore ci si limita a sopravvivere”. Lo sguardo prima di ogni altra cosa.

Se dunque io, il Signore e il Maestro,… anche voi…

Il gesto di Gesù è il gesto che mostra qual è la forma della chiesa, quando si può parlare di chiesa. Si può parlare di chiesa quando, dopo essersi spogliati di tutto ciò che dice separazione, difesa di sé, ci si mette ai piedi dei fratelli. Quali vesti deve ancora deporre la nostra comunità cristiana?

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Dal Vangelo secondo Giovanni 13,1-15

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».